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ll complicato puzzle Pacifico delle due Coree. Il pressing del Giappone

Intervenendo all’Asian Security Summit il ministro della Difesa giapponese, Itsunori Onodera, ha chiarito abbastanza schiettamente quello che osservatori e analisti sostengono da un po’: il suo paese è il più deluso dalla rincorsa diplomatica attorno al dossier nordcoreano — rincorsa che ha avuto una nuova accelerazione poche ore prima dello speech del ministro nipponico, con il ricevimento alla Casa Bianca di un messo di Pyongyang e l’annuncio da parte del Presidente americano Donald Trump che l’incontro col satrapo Kim Jong-un, organizzato d’istinto e cancellato altrettanto d’impeto da Washington, alla fine si terrà (appuntamento a Singapore per il 12 giugno).

Dal palco della conferenza organizzata proprio a Singapore come sintesi annuale del lavoro dello Shangri-La Dialogue del blasonato think tank International Institute for Strategic Studies, Onodera ha espresso tutto l’imbarazzo giapponese per la situazione. Partiamo da un dettaglio: Trump, annunciando il summit con Kim, ha detto che avrebbe smesso di usare la dizione “massima pressione” per approcciarsi a Pyongyang, e questo non può che dispiacere i giapponesi.

È una scelta semantica piena di significato: la massima pressione è la strategia finora adottata da Washington, su cui Tokyo crede più di chiunque altro, per contestare le pretese atomiche del Nord. È una postura severa, basata sul tenere il punto contro la Corea del Nord; sanzioni, minacce, deterrenza. Allentarla, anche solo semanticamente, significa fare una concessione a Kim. Concessioni per altro senza rassicurazioni. Perché Trump ha già annunciato che il summit di Singapore si chiuderà senza la firma di un accordo, con l’inizio di un processo negoziale, in cambio del quale Washington potrebbe cominciare ad allentare la presa.

Siamo felici dei “processi attuali”, ha detto Onodera, ma non possiamo “allentare la pressione”, e non dobbiamo dimenticarci che la Corea del Nord fin dagli anni ’90 si era ripetutamente impegnata a denuclearizzare e creare un’atmosfera di riconciliazione, ma per poi rinnegare e distruggere le speranze di pace della comunità internazionale.

Il Giappone ha un interesse sostanziale: c’è la questione dei cittadini nipponici rapiti sistematicamente tra gli anni Settanta e Ottanta come progetto tattico dei servizi segreti nordcoreani; c’è la minaccia attuale dei missili nucleari del Nord. Alcuni degli ultimi test balistici nordcoreani sono stati effettuati sparando i vettori verso il Giappone, hanno scavalcato l’isola est-ovest, e vero che erano diretti in modo simbolico verso la California, ma la gittata del volo simulato ha dimostrato ampiamente la capacità d’azione delle armi del Nord. È un aspetto da non dimenticare: “Molte nazioni e regioni del mondo, compresi gli Stati Uniti, ora si trovano di fronte alla prospettiva di essere nel raggio d’azione di quei missili”, ha detto Onodera, sapendo di essere sulla lista di eventuali, potenziali target. 

Tokyo, per bocca del suo ministro, detta la linea da cui trattare: “La Corea del Nord deve essere seriamente intenzionata ad abbandonare le sue armi di distruzione di massa”, lo smantellamento è “uno step indispensabile” per assicurare la pace, e tutto deve essere “verificabile e irreversibile”. Davanti a questo il Giappone può collaborare al processo di verifica e monitoraggio, altrimenti continua a non fidarsi.

Da mesi, da quando il sudcoreano Moon Jae-in ha avviato la rincorsa diplomatica invitando il Nord a partecipare insieme al Sud sotto la bandiera delle due Coree unite, il Giappone si sente spiazzato. Vede che gli Stati Uniti — i super alleati che lo hanno scelto per piazzare la flotta strategica del Pacifico, ora passata sotto il comando Indo-Pacifico, con leggero declassamento nipponico — seguono la spinta negoziale dettata da Seul, e non ne sono felici. Con Tokyo c’è una rivalità tra alleati, esacerbata anche da una scarsa compatibilità personale tra Moon e il primo ministro Shinzo Abe. 

L’umore giapponese è un’altra delle dimostrazioni di come gli Stati Uniti di Trump perseguano i propri interessi nazionali in modo pragmatico e senza curarsi troppo di certi partner. Trump ha espresso il concetto con la linea presa sul Tpp o sui rapporti commerciali, per esempio: Tokyo è un alleato pesante per come la vede il Prez, che sfrutta la presenza americana sul proprio territorio per sentirsi protetto, ma non contraccambia sufficientemente.

Dal Giappone vedono la situazione con scetticismo: Abe ha cercato contatti diretti con Trump, provando anche a giocarsela sull’empatia (i due condividono la grande passione per golf), ma ha anche guardato altre vie. Il primo ministro giapponese è stato uno dei due ospiti di onore del Forum di San Pietroburgo, dove ha ricevuto rassicurazioni dal Presidente russo Vladimir Putin; e Mosca ora è in campo anche sul dossier nordcoreano.

 

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