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La linea ferma sull’immigrazione di Salvini e Trump svela il nuovo volto del mondo

Su tutti i media del mondo dominano i dibattiti sui migranti e piovono critiche contro le posizioni che in merito esprimono un orientamento assai duro e netto. In Italia Matteo Salvini ha proposto una schedatura dei Rom, negli Stati Uniti Donald Trump ha rivendicato la linea intransigente di chiusura contro i Latinos, accusando le politiche Democratiche di essere la causa degli attuali problemi che il Paese ha ai confini col Messico. In aggiunta, il presidente americano ha indicato il caso Europa come il rischio da evitare negli Stati Uniti, vale a dire la trasformazione della nazione in un centro di accoglienza per profughi e clandestini.

Il fatto sicuro è che in entrambi i lati dell’Atlantico la linea ferma sull’immigrazione funziona, e permette di accrescere i consensi, nonostante, e forse anche in ragione del fatto, che la stampa è unanimemente contraria a queste “barbare e disumane chiusure”.

Oltre la retorica, vi è negli intellettuali uno smarrimento culturale, il quale dal punto di vista politico potrebbe finire per far perdere di vista un dato molto rilevante e sotto gli occhi di tutti: vale a dire la realtà di una rivoluzione che sta modificando completamente la visione complessiva del mondo per decenni sostenuta, con un manto di dogmatica certezza, dalle ideologie progressiste. Che la Lega, secondo recenti sondaggi, abbia superato il M5Stelle, aggirandosi ormai senza difficoltà intorno al 30 %, non può essere attribuito, in fin dei conti, soltanto al “populismo” di Salvini e alla “demagogia” nell’uso mediatico delle questioni che il leader del carroccio sta cavalcando; e neanche, in tutt’altro contesto, nel ‘spararle sempre grosse’ del Tycoon americano.

Si nasconde, per contro, ovunque qualcosa di molto più considerevole e, aggiungerei, decisamente più interessante.

Quasi tutti gli articoli di commento presenti sui giornali, d’altronde, o si limitano a dire che le ideologie sono finite, che vi è una crisi d’identità delle grandi famiglie politiche, oppure ribadiscono di continuo la ‘cattiveria’ di questo o quello, il razzismo di una conta degli stranieri o l’incostituzionalità di un censimento etnologico.

In realtà, non soltanto in gioco non è qui la malvagità, ma il fallimento del buonismo di sinistra; non è in ballo la fine delle dottrine, ma il ritorno di alcuni riferimenti politologici precisi nel panorama conservatore; a tema non è il razzismo o la costituzionalità di un’azione politica, ma la sicurezza e l’ordine pubblico che la gente sente come priorità assoluta, non derubricabile più sull’altare di impossibili e pericolose utopie palingeniche.

Soprattutto, stiamo vivendo sulla nostra carne un passaggio storico autenticamente radicale, con un sostanziale superamento del modello di Stato su cui le due forme di progressismo globale, quello socialista e quello popolare, hanno creduto di poter guidare i processi esistenti, fallendo miseramente, per duecento anni.

Questo mondo vive il più globale e massiccio moto di migrazione mai avvenuto nella storia, unito a una guerra mondiale a pezzi, secondo la formula felice di Papa Francesco. Intere popolazioni scappano dalle proprie nazioni per cercare di trovare nuova terra dove andare a vivere, lontani dai propri destini di origine. Invece di combattere al proprio interno per ribaltare, magari con aiuti internazionali, le cause dei flagelli che subiscono dai propri governanti, iniziano in massa un esodo verso l’Europa e l’America, non perché qui e lì vi sia domanda di lavoro e sviluppo, ma perché, fino a ieri, regnava una visione sociale fragilissima dello Stato, sorretta dal valore unico dei diritti individuali, molto attrattivi unicamente per chi scappa e invece pericolosi, costosi e inutili per chi ci vive.

Il problema è che in Occidente lo Stato-sociale è entrato in crisi. Le forze politiche che sostengono un’idea contrattualista neutra delle istituzioni pubbliche non godono più di alcun consenso. Viceversa, i movimenti conservatori si fanno portatori di una concezione dello Stato-comunità, nella quale ritornano con efficacia antichi valori come l’appartenenza, la tutela dello spazio e della terra, la salvaguardia del modello conversazionale di riconoscibilità tra la persone, di omogeneità linguistica e culturale, un sistema di idee che vuole interamente smantellare l’unico vero presupposto ideologico che tutti hanno avuto in comune finora: l’individualismo.

L’Occidente non vuole essere più la culla dell’espansione di un’autoaffermazione materialistica dei singoli, ma il luogo nel quale si lavora alla creazione di un nuovo ordine mondiale post-globalizzato, nel quale ogni Stato coincida con una certa comunità specifica, e nel quale spazio per accoglienze indiscriminate non sia più concesso come prima.

In questo Trump ha ragione: è la logica estensiva della democrazia di sinistra, con le sue dialettiche astrusamente contrattualistiche, relativistiche, ispirate ad un modello di spazio pubblico imparziale, che è fallita totalmente e rigettata in massa dai popoli. La gente comune sa che la solidarietà è possibile solo nella comunità di conoscenza, che la sicurezza implica la rispettiva condivisione di valori, regole e tradizioni, che il multiculturalismo è aberrante e il relativismo crea ghetti e guerre urbane, e non democrazia e libertà.

Stiamo entrando in una nuova era, dove il genere umano si unisce unicamente guardando alla conquista di Marte e dello spazio interplanetario, ma nel quale qui sulla Terra ogni popolo può vivere in pace solo se garantisce a se stesso una certa specifica e limitata identità collettiva da mantenere salda e sicura dentro confini controllati.

Dal miraggio di un superamento dello Stato nazionale nel mercato globalista e nella società senza confini, siamo passati alla riattivazione dello Stato e delle comunità identitarie. Questo è il nuovo volto del mondo. E non è certo rifiutandolo o anatemizzandolo che lo modifichiamo. Anche perché non è detto che un pluriverso statuale sia meno democratico di un globalismo impersonale, e non è detto che il mondo che emergerà da una ridefinizione nazionale dei soggetti politici sia peggiore dell’incertezza e del caos diffuso che impera nel nostro terribile presente falsamente universalistico e sostanzialmente privo di tutele e garanzie religiose, sociali ed economiche per le persone e le famiglie.

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