Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Continua l’odissea della Lifeline. Le responsabilità dell’Italia nell’ipocrisia dei Paesi europei

Da oltre 6 giorni, con il suo carico di immigrati, la Lifeline viene sballottata dal vento e dalle onde al largo delle coste maltesi. In procinto, forse, di poter entrare in rada. Ma una vicenda che somiglia sempre più ad un videogame. Ucciso un mostro, ecco apparirne un altro più pericoloso e famelico. La cena segreta tra Emmanuel Macron e Giuseppe Conte, presso la Casina Valadier, sembrava aver sbloccato la situazione. I migranti sarebbero stati sbarcati alla Villetta e subito trasferiti, pro-quota, nelle varie capitali europee. D’accordo Malta, Roma e Parigi, ma non Madrid, Berlino e L’Aia. E quindi si ricomincia. Mentre il capitano della nave lancia messaggi sempre più disperati. Forse alla fine la questione si sbloccherà. Ma al momento non sembrano esistere soluzioni a portata di mano.

Ognuno dei Paesi coinvolti ha le sue buone ragioni per motivare le proprie posizioni. Madrid sembra dire: ho già dato con l’Acquarius, accogliendo i 600 migranti respinti dai porti italiani. In Olanda ci sono voluti 208 giorni per giungere alla formazione di un governo di centrodestra, con alla guida Mark Rutte. È comprensibile che un argomento scivoloso, come relativo all’accoglienza, possa avere conseguenze piuttosto gravi sulla tenuta della stessa coalizione. In Germania, non si placano le polemiche tra Angela Merkel ed il suo ministro dell’interno – il bavarese Horst Seehofer – teorico del respingimento alla frontiera anche degli immigrati passati, stabilitisi clandestinamente in terra tedesca. Conflitto che potrebbe portare alla caduta del governo di coalizione e nuove elezioni. Scenari da incubo che terrorizzano le borse europee. Ma le migliori ragioni sono quelle italiane. Che non può divenire il grande accampamento dove accogliere tutti. Una sorta di Turchia bis, dove tuttavia le regole democratiche garantiscono quelle libertà di movimento che altrove non esistono. E che finiscono per ritorcersi contro i suoi stessi cittadini.

Questa complicata situazione fa risaltare le responsabilità delle Ong. Che, con la loro attività, in aperta violazione delle norme che regolano il salvataggio in mare, rischiano di determinare colpi di maglio contro la stessa unità europea. Forse definirle “pirati”, come ha detto il ministro Danilo Toninelli, è eccessivo. Certo è che la loro tecnica somiglia da vicino a quelle delle “navi corsare”. Una figura ben nota nella storia della marineria di quasi tutti i Paesi. Imbarcazioni che agivano per conto terzi. Godendo della protezione di qualche potenza marittima. Che invece si tratti di qualche “mecenate” conta poco. L’importante è comprendere quale sia il reale interesse politico che si intende perseguire, seppure ammantato di buoni propositi. E la crisi europea, indotta da queste continue scorrerie, dimostra che il sospetto è più che giustificato.

Il problema non è quello di non aiutare i “dannati della Terra”, per riprendere la bella espressione di Franz Fanon. Obiettivo da perseguire, ma nel rispetto di regole la cui violazione può comportare, come sta avvenendo, conseguenze ben più gravi. Un’ingenuità pelosa, nel migliore dei casi, che rischia di essere distruttiva di delicati equilibri internazionali. Il principale rammarico è che bisognava pensarci prima. Evitare di chiudere gli occhi, com’è avvenuto nella passata legislatura, pensando di far fessi i nostri vicini. Porte aperte: tanto l’Italia è solo un Paese di transito, verso lidi più accoglienti. Gioco che è durato fino all’inevitabile reazione da parte dei diretti interessati che hanno chiuso le frontiere. E messo in discussione le stesse regole di Schengen.

La sinistra italiana ha le sue indubbie responsabilità. E per questo sta pagando un prezzo salato. Il suo cosmopolitismo – ha ragione Galli della Loggia nel suo intervento su Il Corriere della sera – gli ha impedito di cogliere ciò che ribolliva nella pancia del Paese. Marco Minniti, non senza contrasti interni, ha cercato di correre ai ripari, ma ha chiuso le porte dopo che i buoi erano fuggiti dalle stalle. Ed oggi, rivendicare che grazie alla sua azioni gli sbarchi sono notevolmente diminuiti, serve a poco. Specie di fronte alle nuove ondate – sia quelle primarie che secondarie – che rischiano di accrescere la platea dei residenti. In un momento in cui mancano, in Italia, le risorse – si vedano i dati sull’accresciuta povertà – per affrontare un tema di carattere più generale. Che riguarda i diritti di cittadinanza degli stessi italiani.

C’è un tema di fondo che la sinistra ha trascurato. La politica estera non è solo languida diplomazia. Richiede, quando è necessario, dimostrazioni di forza. Pugno di ferro in guanto di velluto, come si diceva una volta. La regola seguita, indistintamente, da tutti i Paesi. Ebbene, nella passata legislatura, quel pugno è stato solo di latta. Abbiamo consentito alle varie Ong. di fare la spola tra il mare aperto e la zona Sar – quel braccio di mare in cui esiste l’obbligo dell’assistenza e del salvataggio – consentendo di fatto alle relative imbarcazioni si assicurare ai migrati di concludere il loro viaggio della speranza. Abbiamo accettato dal resto dei Paesi europei solo promesse che sapevamo non sarebbero state poi mantenute. Gli accordi di Dublino rispettati solo a danno del nostro Paese. Il caso delle Lifeline, forse, porrà fine a questa gigantesca ipocrisia. Mettendo ciascuno di fronte alle proprie responsabilità.

×

Iscriviti alla newsletter