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L’Onu rifiuta di condannare Hamas: la risposta dell’Anp

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L’ambasciatrice americana Nikki Haley continua l’opera di cambiamento del discorso imperante all’Onu sul conflitto arabo-israeliano, proponendo ieri una risoluzione di condanna a Hamas.

Le proposte di condanna di Israele sono quasi sempre adottate con il voto favorevole del blocco arabo-islamico, i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), un numero di Stati africani, e anche europei. La recente risoluzione sulla protezione del popolo palestinese (e condanna esclusiva a Israele) è stata adottata con il voto favorevoli di: Belgio, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Islanda, Liechtenstein, Luxembourg, Malta, Norvegia, Serbia, Slovenia, Spagna e Svezia. Altri Stati con ottimi rapporti diplomatici con Israele preferiscono astenersi (così anche Italia, Germania e Cechia).

Gli Usa hanno presentato una controproposta che includeva la condanna di Hamas, passata con il voto favorevole di 62 Stati, contrario di 58 e 42 astensioni. Per una regola procedurale sulla specifica categoria della risoluzione, il documento non è stato adottato perché si richiede una maggioranza qualificata. Nikki Haley ha commentato i risultati richiamando l’attenzione sulle proteste pacifiche in Nicaragua e sulla crisi umanitaria in Yemen, che non godono però di altrettanta dedizione all’Onu, denunciando la politicizzazione del conflitto.

Come riporta il quotidiano palestinese Al-Hayat Al-Jadida, il Consiglio Nazionale Palestinese ha plaudito alla posizione degli Stati contro “l’arroganza degli Stati Uniti e di Israele”, che confermerebbe l’opposizione “al razzismo dell’occupazione” (cioè di Israele). La stessa testata riporta le parole di Azzam al-Ahmad, membro del Comitato Esecutivo dell’OLP, che accuserebbe Israele e America di cospirazione anti-palestinese. Secondo al-Ahmad non ci sarebbero sanzioni dell’Autorità Palestinese a Gaza, ma semplici problemi procedurali nel trasferimento dei salari. Lo stesso al-Ahmad intima però Hamas a rispettare gli accordi di riconciliazione del 2017, rifiutando l’idea che esistano delle sanzioni. Queste “invenzioni” sarebbero frutto di una politica cospirazionista americana per indebolire la causa palestinese.

L’accordo di riconciliazione non è stato ancora implementato da Hamas, che persegue vie belligeranti per aumentare la propria influenza anche nella West Bank. Le azioni dell’ANP sono de facto delle sanzioni (sospensione del pagamento dei salari, sospensione fornitura dell’energia elettrica). La pressione politica spinge Hamas a cercare altri fonti di finanziamento, come dall’Iran, mentre la pressione sociale spinge l’Anp a distanziarsi da Israele.

All’Onu però si mantiene una parvenza di unità nazionale in funzione anti-israeliana e anti-americana. Questa politica è fondamentale per continuare il massimalismo nelle richieste verso Israele e dimostrare alla popolazione che l’Anp non cede al “nemico sionista”. Il crescente discontento popolare verso l’Anp si esprime nelle accuse di “collaborazionismo con l’occupazione” che minano il consenso popolare nella West Bank e rafforzano Hamas. Una politica di aperta condanna a Hamas indebolirebbe altresì l’intransigenza nei negoziati con Israele. In questa spirale di irriducibilità per il consenso popolare sprofonda anche la possibilità di un accordo con Israele, con cui Hamas cerca la guerra e con cui l’Anp fatica a dialogare.

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