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Cara Meloni, ecco perché il blocco navale non si può fare

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Ormai da giorni non c’è pastone politico nei telegiornali in cui non si riporti la posizione di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, che invoca il blocco navale davanti alla Libia. In recenti interviste ha anche spiegato che il Consiglio europeo di fine giugno dovrebbe decidere in proposito: un blocco navale che impedisca le partenze dei barconi.

Da almeno tre anni numerosi politici, e qualche volta autorevoli commentatori, stanno insistendo su questo nonostante articoli, dibattiti parlamentari, dichiarazioni di ministri e di vertici militari abbiano chiarito che il blocco navale non si può fare perché è un atto ostile, una dichiarazione di guerra nei confronti della nazione di fronte alla quale si vorrebbe attuarlo. In punta di diritto servirebbe una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu o una richiesta del Paese interessato: in pratica, qualcuno dei fautori può spiegare come dovrebbe comportarsi il comandante di una nave militare di fronte a un barcone che punta contro di lui e magari con le persone a bordo che si gettano in mare per essere salvate? Cosa dovrebbe intimare quel comandante allo scafista di turno? “Accosti, patente e libretto”?

Per l’ennesima volta è opportuno ricordare che l’Italia attuò un blocco navale nel 1997 con il governo di Romano Prodi nel canale d’Otranto, nonostante proteste internazionali a tutti i livelli, anche se in base a un accordo con il governo albanese. Nelle regole d’ingaggio alla Marina militare fu ordinato di effettuare opera di dissuasione nei confronti delle imbarcazioni albanesi che tentavano di raggiungere la Puglia. Fu così che il 28 marzo 1997 il comandante della corvetta Sibilla tentò di dissuadere in alto mare l’imbarcazione Kater-i-Rades finché ci fu un contatto che causò il naufragio con oltre 100 morti compresi i dispersi. Il comandante della Sibilla fu condannato nonostante avesse eseguito gli ordini del governo. Ancora oggi è ricordata come “la strage del venerdì santo”.

Anche la missione europea Eunavfor Med prevede una terza fase nella quale le navi potranno entrare nelle acque libiche e svolgere un’azione più incisiva di lotta ai trafficanti di esseri umani. Per passare dall’attuale fase 2 a quella successiva, però, serve una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu e soprattutto una richiesta della Libia: il governo di Fayez al Serraj non l’ha mai avanzata perché dimostrerebbe debolezza e intensificherebbe gli scontri interni.

Mentre ci si confronta in Europa su come affrontare il problema immigrazione, insomma, l’unica cosa certa è questa: il blocco navale non si può fare.

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