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I Neet: tra sfiducia e valori per il futuro

formazione lavoro

Il nostro Paese detiene una serie di record (dati OCSE) che devono condurre l’analisi sul fenomeno dei NEET (not engaged in education, employment or training).Tra i meno scolarizzati, con giovani con basse competenze alfabetiche e numeriche; popolazione  più anziana, con percentuale più bassa di giovani tra 15 – 29 anni, più alta aspettativa di vita. più basso tasso di fertilità, più alta spesa pensionistica, uno dei più bassi tassi di fiducia nelle istituzioni egli uni negli altri.  Mi pare evidente che questi dati devono essere analizzati con attenzione perché da essi, a mio avviso, emerge un tema “sociale e sociologico” che come tale va affrontato. Ecco perché studiando il “tema” mi sono trovato “disarmato”, impotente, con un pensiero debole, ovvero il pensiero giuridico. Il problema non sono le norme. Quante volte è proprio il confronto con le altre legislazioni a confortarci: Francia, Inghilterra, Germania, non hanno formule giuridiche diverse e/o magiche.

Ma allora cosa succede? Ahimè è molto semplice e durissimo dal punto di vista della prospettiva. Il problema del nostro Paese è di ricercare in una società che è priva di quei principi, di quei valori e di quei valori, i presupposti che sono necessari per affrontare i veri problemi. Solo sussistendo tali valori è possibile produrre un apparato normativo che realizzi un sistema idoneo al raggiungimento del risultato. Ma questa non è una novità.

Chi sono i Neet? Sono esattamente come tutti gli altri inoccupati, ma con età differente. Dico questo perché al di là del dato anagrafico (che certamente conta) vi è una matrice comune sulla quale lavorare: la fiducia,  la rinuncia alla lotta, la demotivazione. Con tutto ciò che essa comporta sotto il profilo psico-fisico e la formazione di un nuovo “ghetto”  sociale. Se cogliamo questo aspetto capiamo che il problema allora non sta nel contratto più o meno flessibile. Come la cura non è l’incentivo. Perché senza “fiducia” non c’è progettualità, imprenditoriale e individuale. Il piano Garanzia Giovani non è un fallimento, ma senza la costruzione di un sentimento di fiducia nelle istituzioni, lo strumento non potrà mai assolvere al compito. Senza di essa non c’è programmazione, non c’è visione a lungo termine ed allora le “offerte” non sono appetibili, i contratti sono scorciatoie e gli imprenditori non investono su giovani che non sono all’altezza. L’imprenditore parte dal presupposto che quei giovani non saranno mai in grado di soddisfare le esigenze aziendali.

Sfiducia nella formazione “statale”. I Giovani presi in carico non hanno fiducia perché la qualità delle proposte non è tale da far percepire un “futuro”. È l’intero sistema che va riformato. Ecco perché allora le iniziative come quelle promosse da Bosch, da Randstad e – per quanto possiamo e potremo – del LabLaw, sono importantissime, non solo per ciò che riusciremo a fare nel concreto, ma per ciò che riusciremo a trasmettere nel corso degli incontri in termini di “fiducia”. La fiducia, l’orientamento, occorre intervenire perché si deve lavorare sulle causali che hanno determinato la decisione di essere e di diventare Neet. Purtroppo non siamo di fronte a ciò che mi viene da definire “semplice” disoccupazione/inoccupazione, il problema è più grande e più grave.

Come paese ci siamo mossi al contrario delle reali esigenze e dei migliori sistemi sociali. Nel momento storico della centralità dell’uomo, della conoscenza, della centralità della formazione nelle organizzazioni, il nostro Paese ha assistito allo smantellamento delle più prestigiose business school (imprenditoriali) da una parte, e la totale assenza di coordinamento formativo e programmazione scolastica per il lavoro.

Non è vero che abbiamo il costo del lavoro più alto d’Europa. Non è vero che abbiamo il sistema giuridico più rigido d’Europa. Continuare ad immaginare modelli normativi significa continuare ad ignorare il vero termine del problema. Devono cambiare noi. Le relazioni tra gli attori Una Società forte e coesa risponde senza problemi al cambiamento ed al progresso.

Due ultime considerazioni. Quando leggo Neet (15-29 anni), leggo il futuro. Quando leggo Millennials (23 -37 anni) lego il presente. Per l’Italia presente e futuro sono “problemi” ed il “presente” non rappresenta la “forza” della nostra società. Il 29% dei giovani che terminano gli studi non trova lavoro. Il 60% dei maschi fra i 50-64 anni lavora ancora. In Usa i millenials oggi sono la percentuale più alta di occupati e nel 2020 supereranno il 50%. Occorre comprendere una generazione per pensare di risolvere i problemi. Questo divario “sociale e produttivo” si riverbera anche sulla capacità di sviluppo e concorrenza imprenditoriale. Diversa organizzazione del lavoro, diverse forme di leadership, diverse prospettive sul lavoro.  Non mi pare di scoprire nulla se dico che proprio il lavoro in sé non ha lo stesso significato per queste generazioni, e ciò impatta su tutto, non solo sul dato occupazionale: politiche imprenditoriali e costruzione di modelli socio/economici.

Credo che l’intervento di presa in carico debba cominciare molto prima: a 13 anni. Credo che le politiche dovranno essere d incentivazione e seguire percorsi di studio formativi. Scuola – Lavoro = comprensione dei temi umani e valoriali. Il significato del lavoro.

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