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Phisikk du role – Vitalizi vitalizi

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Certi argomenti, come quello sui “vitalizi” dovrebbero essere trattati solo dai marziani, perché come la giri e la volti, alla fine l’accusa di parte in causa sfregiata con dolore nelle tasche, o di coltivatore diretto di cupe invidie sociali o, almeno, di politicante in campagna elettorale, te la becchi.

Io, che non sono marziano, metto nel conto qualche accusa e provo a ragionare un po’ sfidando la sgradevolezza del parlare di vile pecunia. Non si sa come andrà a finire l’ennesima sagra dell’aria fritta messa in atto dalla Camera sui vitalizi dei deputati. Il risalto mediatico – una volta si chiamavano armi di distrazione di massa – però è stato raggiunto e, almeno per un giorno, la guerra sorda dei consoli della terza Repubblica ha potuto segnare un punto di attenzione in favore di Di Maio e co. e non del gettonatissimo Salvini, quello del ¡No pasarán! alle frontiere di cielo, di mare e di terra.

Leggiamo sul tema commenti di laureati dappertutto, alcuni, come Rizzo sul Corriere, argomentati con posata sapienza giuridica, alquanto diversa da scritti del passato. Altri sgangherati assai. Al punto: la procedura, quella di una decisione del solo ufficio di presidenza della Camera, non imitata dal Senato, è un percorso accettabile per intervenire con una “reformatio in peius” così profonda? Probabilmente no, perché creerebbe in partenza una ingiustificata disparità tra gli ex parlamentari dei due organi, con effetti anche paradossali, come lasciare intoccata la posizione di chi abbia fatto più di un mandato alla Camera e concluso la sua carriera al Senato e punire chi, viceversa, abbia fatto tutta la sua carriera al Senato e l’ultima legislatura alla Camera. Delle due: o si mettono d’accordo i due uffici di presidenza oppure si fa una legge. Oltretutto la legge (costituzionale) sarebbe preferibile perché si insiste su una materia regolata dalla Costituzione (art.69) che stabilisce che ai parlamentari spetta un’indennità, ossia un certo ammontare di danaro ritenuto necessario per garantirne l’autonomia ma che rappresenta anche una forma risarcitoria rispetto all’attività lavorativa necessariamente abbandonata nel corso del mandato.

I costituenti pensavano a persone che non intendevano l’attività parlamentare come alternativa alla disoccupazione. Dal 1965 si è agganciata l’indennità parlamentare agli stipendi dei magistrati delle corti superiori. Il vitalizio, dunque, è parte di quella indennità. Nel merito: una volta violato il principio del divieto di irretroattività delle riforme peggiorative, più volte ribadito dalla Consulta, tutte le pensioni potrebbero essere sottoposte allo stesso trattamento mettendo mano su almeno 58 miliardi di risparmi degli italiani che possono derivare dal ricalcolo delle pensioni in essere con il metodo contributivo. E allora perché si vuole approvare alla Camera quel provvedimento sbandierandolo come un gesto epocale? Per capire il senso di quel che è avvenuto occorre fare ricorso ai numeri: oltre l’80% dei deputati in carica sarà totalmente soggetto al regime contributivo, già in vigore alla Camera dei deputati, dal 2012. Dunque oltre l’80% dei deputati, quelli che oggi si ornerebbero delle piume splendenti di questo provvedimento, lo fa non rimettendoci nulla di tasca propria, ma colpendo una platea di ex, in molta parte ultra ottantenni.

Che cosa sia un parlamentare, la sua dignità, in quanto rappresentante del popolo, che significhi dedicare una parte della sua vita al servizio pubblico con disciplina e onore, rappresentano ormai questioni rimosse in questa specie di politica dell’immediato che ha la proiezione storica di un tweet sgrammaticato. Queste questioni, però, avevano un senso per persone che hanno impegnato una parte importante della loro vita nell’attività parlamentare, rinunciando a professioni, carriere, attività remunerative. Rinnovate nei loro mandati dal voto popolare, e non dalla cooptazione nella lista bloccata di un capo generoso! Allora se davvero si vuole intervenire nell’area dei privilegi e non si intende fare solo un brutto spot pubblicitario (con potenziali risultati molto modesti dal punto di vista del bilancio dello Stato: solo trenta milioni) sarebbe molto più utile introdurre una norma di divieto del cumulo di pensioni, tracciare una linea al di sopra della quale non si deve andare, agire sui contributi figurativi acquisiti nel corso del mandato parlamentare e intervenire, con una buona legge, sulla disciplina delle incompatibilità. Perché si restituisca al mandato parlamentare la sua vocazione di impegno esclusivo che non può essere usato come brand per incrementare i profitti di altre attività professionali.

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