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I trade talks tra Cina e Stati Uniti fermi in un’impasse (ma ci sono spiragli)

trade talks

I colloqui tra Stati Uniti e Cina sul futuro dei rapporti commerciali tra le due principali economie del mondo si sono chiusi domenica 3 giugno senza risultati definitivi. Poteva esserci la firma di un qualche genere di accordo, come quello a lungo circolato sui media, che prevedeva che i cinesi accettassero, nero su bianco, di acquistare più o meno 100 miliardi di prodotti americani riducendo così, tutto in un colpo, circa un terzo del deficit commerciale sofferto da Washington.

Ma niente, per ora: la situazione, per dirla come l’ha fotografata il New York Times, è una sorta di “impasse”. Nello statement diffuso dal governo cinese c’è il punto: “Se gli Stati Uniti introdurranno misure commerciali, compreso un aumento delle tariffe, tutti i risultati economici e commerciali negoziati dalle due parti non entreranno in vigore”. Ossia, Pechino non si fida per il momento: teme che Washington possa imporre nuovi dazi, o implementare i precedenti. I cinesi vorrebbero garanzie, gli americani non solo non ne danno, ma fanno circolare ipotesi sulla possibilità di altre misure contro la Cina.

Che questo è il punto critico lo sa bene la Casa Bianca, che nell’ultimo round negoziale aveva inviato come rappresentanza una delegazione guidata da Wilbur Ross, il segretario al Commercio, e da alcuni alti staffer dei segretari al Tesoro e Agricoltura: un “export promotion team“, per continuare a citare il Nyt, più che un gruppo di negoziatori. Assenti, non a caso, funzionari dello United States Trade Representative Office, che infatti è il centro di potere interno da cui i trumpiani stanno minacciando nuovi dazi.

In questa ferma, delicatissima situazione ci sono due possibili chiavi di apertura per permettere ai colloqui di andare avanti (nota: se vanno avanti si può pensare a qualche genere di soluzione, anche quella della vendita in blocco di prodotti made in Usa per metterci una pezza politica e far salvare la faccia all’amministrazione Trump; se no, si apre uno scenario critico che può condurre veramente verso una guerra commerciale fatta di misure e contromisure).

Primo: la vicenda della Zte. La compagnia di telecomunicazioni è un asset strategico cinese, che impiega quasi 78mila persone, a cui gli Stati Uniti hanno tolto ossigeno. Per punirla per una vecchia storia riguardo a commerci in violazioni delle sanzioni su Iran e Corea del Nord, ad aprile Washington aveva proibito alle aziende americane di venderle i propri componenti, mettendo seriamente in crisi l’operatività della ditta cinese.

Ora, secondo le informazioni passate ai media, Zte e governo americano avrebbero raggiunto un accordo: la ditta tornerebbe a lavorare a pieno regime in cambio del pagamento di una multa e di sostituzioni nel management. La storia della Zte è diventata rappresentativa di questa fase negoziale, la sua risoluzione potrebbe indicare che ci sono ancora vie di intesa più ampie.

Secondo: LeBron James. Il super-campione di basket, in finale dei play-off Nba con i suoi Cleveland Cavaliers, è super amato dal pubblico cinese, e, insieme al suo sfidante Steph Curry dei Golden State Warriors, è il volto mediatico dell’interesse per il basket in Cina. La Nba, la lega professionistica americana, ha stretto accordi di licenza con diverse compagnie cinesi – per esempio con Tencent, gigante dei social network, con cui c’è un accordo quinquennale da 500 milioni – e queste sono una piccola ma fondamentale parte del commercio di servizi negli Stati Uniti.

Pechino sostiene che il vantaggio americano sul settore dei servizi resterà tale, e anzi in futuro sarà rafforzato, e lo usa come leva nel confronto commerciale; i cinesi dicono che gli americani vendono 38,5 miliardi di dollari di servizi in più alla Cina, è una leva debole in realtà, se confrontata al surplus cinese sui prodotti che vale circa dieci volte tanto, ma è un punto di contatto nei talks.

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L’Nba è l’ottimo esempio di uno spazio di soft power che permette alla Cina di entrare in contatto con gli Stati Uniti (per esempio: la stessa Zte è stata sponsor partner di diverse squadre, tra cui Warriors e Cavaliers, ma anche New York, Chicago, Houston; o ancora: per il capodanno lunare dello scorso anno, la Quicken Loans Arena di Cleveland era piena di messaggi di augurio per il nuovo anno cinese). Contemporaneamente però apre il mercato cinese agli americani; le Finals del 2017 sono state viste da 175 milioni di cinesi, partite e pubblicità comprese (pubblicità che passano anche sugli smartphone di chi sottoscrive i pacchetti con Tencent, per dire). La vendita di servizi è un settore importante per l’economia americana, uno di quelli da non mettere a rischio con iniziative troppo guerresche.

(Foto: Nike.com, Lebron James in Cina)

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