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F-35 alla Turchia: le consegne del Pentagono e gli ostacoli del Congresso

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Amministrazione e Congresso americani si trovano su un altro terreno di confronto (uno dei tanti, in questa fase di assestamento prime che la campagna per le Midterms entri nel vivo dei mesi finali): gli F-35 alla Turchia. Oggi, a Forth Worth, in Texas, su pressioni della Lockheed Martin, la ditta costruttrice, verranno consegnati i primi due velivoli ai turchi, anche se nel maxi provvedimento “must-pass” con cui le camere hanno stanziato 716 miliardi di dollari per la Difesa i legislatori hanno inserito un emendamento per bloccare la consegna dei velivoli.

La LockMar ha un contratto, con vincoli e scadenze che intende rispettare, ma per le tranche successive quanto votato dai senatori avrà il suo peso. I congressisti considerano che il trasferimento degli F-35 e di capacità all’avanguardia alla Turchia è diventato “sempre più rischioso” a causa di ciò che hanno descritto come “l’ampio consolidamento del potere” da parte del presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

James Lankford, repubblicano junior dall’Oklahoma, l’ha chiamato “un percorso di governo spericolato e nel disprezzo dello stato di diritto”, ma al di là delle preoccupazioni sul reis (copyright Marta Ottaviani, giornalista esperta di Turchia che ha titolato il suo libro su Erdogan proprio “Il Reis”), c’è una questione politico-strategica piuttosto importante dietro alla scelta americana, che va anche ben oltre il rilascio di Andrew Brunson, il pastore protestante statunitense detenuto in Turchia con l’accusa di sostegno al terrorismo dal 2017, citato dai senatori.

Ankara ha esplicitamente dichiarato di voler procedere con l’acquisto dei sistemi di difesa aerea S-400, batterie di ottima tecnologia prodotte dalla Russia, nonostante gli Stati Uniti gli abbiamo espressamente chiesto di rinunciare all’affare. Il problema non è solo la complicata integrazione nel complesso degli armamenti con quelli degli altri alleati Nato, ma c’è proprio una questione politico: l’inclinazione turca verso Mosca.

Da quando i rapporti tra i due paesi sono tornati potabili un paio di anni fa, si è assistito a un corteggiamento continuo da parte di Vladimir Putin al collega Erdogan, con conseguente spostamento dell’asse di relazioni di Ankara verso oriente. Ma la Turchia ha un valore troppo elevato per essere persa, è il secondo esercito per numero della Nato e ospita una base strategica americana e dell’alleanza importantissima (Incirlik), ma soprattutto ha un ruolo nevralgico in una posizione geografica fondamentale a cavallo tra Europa e Medio Oriente, affacciata sul Mediterraneo (e controlla lo stretto che permette la più breve via marittima verso la Russia).

Il vicepremier Bekir Bozdag, ha definito il veto sulla consegna degli F-35 posto dal Senato degli Stati Uniti “una minaccia”; il
primo ministro, Binali Yildirim, dice che il disegno di legge in corso di approvazione al Congresso è “contrario” allo spirito di partenariato strategico Turchia e Stati Uniti, ma ricorda che “la Turchia non è senza alternative”; il ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu, ha rassicurato che comunque gli aerei arriveranno in Turchia nel 2020, al termine dei corsi di addestramento per i piloti turchi negli Stati Uniti.

I turchi battono sulle questioni legali dietro al contratto di acquisto, tra cui però potrebbero trovare spazi (seppure complicati) eventuali sanzioni americane, ma le sanzioni sarebbero un provvedimento durissimo. Il 24 giugno si vota in Turchia e i candidati dell’Akp di Erdogan stanno già usando la vicenda come leva elettorale: il loro partito nel corso del tempo ha preso via via posizioni più radicali islamiste e anti-occidentali, soprattutto anti-americane. Washington vuole usare le pressioni legate agli F-35 per scoraggiare Ankara sugli S-400, e soprattutto sull’allineamento a Mosca.

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