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Verso un approdo che non c’è

I risultati del Vertice di Bruxelles sono sconcertanti. Alla faccia degli slogan giornalistici di oggi, nel pieno di un’emergenza politica sulla questione dei migranti, la Ue retrocede verso compromessi al ribasso e sempre più penalizzanti per i paesi di primo ingresso.

Del completamento della Unione Economica e Monetaria non si fa cenno, così come di una linea di bilancio dell’eurozona. Con buona pace di Macron, che ha investito politicamente nel rilancio della sovranità europea condivisa per fronteggiare il sovranismo nazionalista della Le Pen.

Certo, di fronte a queste sfide, che non vengono nemmeno lontanamente sfiorate, e che avrebbero potuto ridare un senso della direzione concreta nella quale si dovrebbe muovere la Ue per essere un soggetto politicamente rilevante, possiamo consolarci con lo European Stability Mechanism, che diventa backstop per il meccanismo unico di risoluzione bancaria; o con la ripresa dei negoziati sul Single Deposit Insurance Scheme, ormai dati per abbandonati.

Così come va benissimo il rafforzamento di frontex per il controllo delle frontiere esterne. Ma non va affatto bene temporeggiare ancora sulla riforma di Dublino (tra l’altro i migranti che intendono solo transitare dall’Italia sono invece costretti a restare nel nostro paese!) e chiuderci semplicemente a riccio (unica strategia che si è dimostrata vincente al Vertice è stata quella dei paesi del gruppo di Visegrad). Soprattutto di fronte a problemi umanitari, economici, climatici, politici che sono in gran parte responsabilità di un’Europa frammentata che non è riuscita ed ancora oggi non riesce ad avere strategie condivise.

Ho usato più volte in questo blog la metafora del fiume. Immaginiamo di aver lasciato settant’anni fa la sponda di un fiume: quella sicura ma conflittuale che aveva consentito agli Stati nazionali, nella loro sovranità assoluta ed esclusiva, di fornire ai propri cittadini i beni pubblici di cui necessitavano… purtroppo a prezzo di conflitti strutturali ed inevitabili, dovuto alla forma assoluta del monopolio statale sulla sovranità esercitata sui cittadini, che hanno portato a due guerre di dimensione mondiale. E ci siamo lentamente incamminati verso la sponda, che si preannunciava meno conflittuale e più efficiente, delle sovranità condivise. La dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 (che sollecitava la condivisione di sovranità nella produzione di carbone ed acciaio, due beni essenziali per fare la guerra) è stata in questo senso giustamente considerata l’atto d’avvio di questo percorso.

Per interi decenni, un mondo diviso in blocchi contrapposti, immobile, bloccato nella staticità garantita dal confronto del terrore nucleare fra le due superpotenze, ha dato agli europei l’illusione che potevano impiegare tutto il tempo che volevano per transitare verso l’altra riva, per guadare il fiume.

Dopo l’89, quando il mondo inizia a cambiare ed accelera la ridefinizione dei poteri su scala mondiale, l’acqua nel guado inizia pian piano a salire. Finché, con la crisi economico-finanziaria, l’acqua arriva alla gola.

E quando si ha l’acqua alla gola è istintivo guardarsi indietro, nell’illusione di poter tornare sulla sponda precedente; una sponda certo conflittuale, ma almeno in grado di assicurare ai cittadini (questa almeno la loro speranza) quei beni pubblici essenziali per la loro sopravvivenza.

L’unica alternativa a questo istinto di fare dietrofront, perfettamente incarnato dalle rivendicazioni populistico-nazionaliste, è sapere esattamente che cosa ci aspetta sull’altra sponda; e soprattutto quanto tempo impiegheremo a raggiungerla.

In fondo era questo il valore rivoluzionario del discorso di Macron alla Sorbona del settembre scorso: cercare di dare una prospettiva, dei contorni precisi, alla sponda verso la quale ci dobbiamo muovere in Europa, come farlo e in che tempi.

Ecco, credo che da oggi in poi tutti i vertici Ue debbano essere guardati in questa ottica. O sono in grado di fornire ai cittadini europei una prospettiva chiara e tempi certi su cosa li aspetta al di là del guado, o una quota sempre crescente della popolazione volgerà pericolosamente lo sguardo indietro, iniziando a muoversi a ritroso verso gli orrori dai quali veniamo.

E allora, tanto per iniziare subito questa valutazione, il vertice di Bruxelles è stato un clamoroso fallimento, che allontana sempre più i cittadini europei dalla voglia di combattere per una prospettiva fumosa, incerta e lontana che nessuno sembra sapere ancora esattamente cosa implichi. Insomma, come i migranti che vengono verso l’Europa, i cittadini europei si muovono (per ora) verso un approdo che non c’è.

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