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Primo obiettivo centrato in Yemen. Intanto l’Onu tenta di mediare

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L’operazione “Vittoria dorata” lanciata il 13 giugno dalla coalizione alleata a guida saudita per scacciare i ribelli Houthi dalla strategica città portuale di Hodeida ha centrato il suo primo risultato. Mercoledì mattina la coalizione ha annunciato di aver espugnato l’aeroporto, che sorge a 15 chilometri a sud dal centro cittadino e dalle infrastrutture portuali.

Si tratta, secondo un esponente del governo degli Emirati citato da Reuters, di un serio “colpo militare e psicologico” agli Houthi, che consente agli alleati di predisporsi per il prossimo passo: avanzare verso il porto, principale obiettivo del piano della coalizione.

Non sarà tuttavia un’impresa semplice. A dispetto della superiorità delle forze alleate, che godono di un maggior numero di truppe (25 mila contro poche migliaia di difensori) e di appoggio aereo, la battaglia per il porto costringerà la coalizione a ingaggiare combattimenti urbani, nei quali gli Houthi sono particolarmente versati, e a rischiare un’ecatombe tra i 600 mila abitanti della città, parte dei quali ha già scelto la via della fuga.

La conquista dell’aeroporto ha tuttavia infuso ottimismo tra gli alleati, impegnati dal marzo 2015 in uno sforzo per liberare lo Yemen dagli Houthi e reinstallare il governo internazionalmente riconosciuto del presidente Abd-Rabbu Mansour Hadi. Quest’ultimo ha dichiarato ieri che le operazioni militari “continueranno su vari fronti fino a che Sana’a”, la capitale dello Yemen in mano ai ribelli dal 2014, “e l’intero territorio” non saranno ripresi.

Suona la squilla anche il ministro degli esteri degli Emirati Arabi Uniti, Anwar Gargash: la “liberazione di Hodeida”, ha scritto (prematuramente) Gargash su Twitter, “è l’inizio della fine della guerra”. “La scelta in Yemen”, secondo il ministro, “è tra Stato e milizia, tra ordine e violenza, tra pace e guerra”.

Dopo aver messo in sicurezza l’aeroporto, la coalizione – secondo quanto dichiarato a Reuters da una fonte militare yemenita – intende avanzare sulla strada interna che si snoda dal quartiere meridionale di Bayt al-Faqih, e procedere fino alla superstrada che porta a Sana’a, tagliando ogni collegamento tra Hodeida e le retrovie e strangolando così le forze che difendono la città. “Questo”, ha affermato la fonte, “ci permetterà di controllare tutto anche senza prendere il porto”.

Ma le previsioni della coalizione devono fare i conti con la resistenza che gli Houthi effettueranno in aree industriali e residenziali densamente popolate che separano per il momento la posizione degli alleati dai loro obiettivi. Il leader dei ribelli, Abdul Malik al-Houthi, ha promesso l’arrivo di rinforzi da tutte le direzioni. “Affronteremo le incursioni via terra” degli alleati, ha dichiarato al-Houthi all’emittente amica Al-Masirah News. “La nostra determinazione non verrà mai meno”.

Una fonte militare yemenita ha ammesso a Reuters che probabilmente la coalizione sta facendo i conti senza l’oste . “Gli Houthi bloccano la strada per Hodeida per isolare le truppe (della coalizione) attorno all’aeroporto. Allora gli elicotteri Apache degli Emirati Arabi Uniti intervengono per liberare la strada. Ma non appena (gli Houthi) se ne sono andati, ecco che si riaffacciano di nuovo. È un gioco a gatto con il topo che non finisce mai”.

Il principale problema che gli alleati dovranno affrontare riguarda proprio il porto. La coalizione mira a conquistarlo quanto prima: per gli Houthi le sue infrastrutture rappresentano una preziosa fonte di introiti, valutabili intorno ai 40 milioni di dollari al mese, nonché il principale canale di rifornimento di armi, che secondo l’accusa degli alleati arrivano dall’Iran. Ma il porto di Hodeida, conosciuto come “la bocca dello Yemen”, è anche il canale principale da cui transitano gli aiuti per la stremata popolazione dello Yemen: oltre l’80% degli aiuti passano da lì.

La prospettiva di combattimenti prolungati intorno al porto, e del quanto mai probabile blocco delle operazioni di sbarco delle merci, inquieta la comunità internazionale e le organizzazioni umanitarie, che hanno lanciato da tempo l’allarme. Da quando la coalizione ha lanciato l’ultimatum agli Houthi all’inizio di giugno, l’inviato Onu in Yemen Martin Griffiths si è impegnato in una missione di shuttle diplomacy tra Sana’a e Gedda per trovare un accordo tra le parti.

Gli sforzi di Griffiths sembrano aver raggiunto un risultato: secondo fonti americane e occidentali sentite da Reuters, gli Houthi avrebbero accettato la proposta di affidare il controllo del porto alle Nazioni Unite. Mancherebbe però l’assenso della coalizione, che si limita per ora a rendere noto di volerci riflettere. “I sauditi”, fa sapere un diplomatico occidentale, “hanno offerto qualche segnale positivo su questo (…) nelle ultime 24 ore. Anche gli emiratini hanno dato qualche sussurro positivo, ma l’accordo ha ancora molta strada da fare”. Griffiths tuttavia si dice “incoraggiato dal costruttivo impegno” degli Houthi, e annuncia che incontrerà presto il presidente Hadi.

Il piano messo a punto dall’inviato prevede che le Nazioni Unite raccolgano gli introiti derivanti dalle operazioni di carico-scarico merci effettuate nel porto e le mettano a disposizione della Banca centrale dello Yemen. Il personale yemenita lavorerebbe fianco a fianco con quello del Palazzo di Vetro, assicurando così la continuità dei rifornimenti.

Bisognerà attendere alcuni giorni per capire se gli sforzi dell’Onu porteranno a risultati concreti o se invece si materializzerà lo spettro più temuto dalla comunità internazionale: combattimenti ad oltranza nella zona del porto con disastrose conseguenze per la popolazione civile. Una prospettiva che semina il malumore tra i paesi che sostengono la coalizione.

Un segnale eloquente in tal senso è arrivato dalla Francia, che ha reso noto di aver declassato la conferenza umanitaria internazionale sullo Yemen in programma a Parigi il prossimo 27 giugno. Un’iniziativa che era stata annunciata a maggio congiuntamente dal presidente Emmanuel Macron e dal principe saudita Mohammad bin Salman. È l’indice di una crepa tra uno dei principali sostenitori degli alleati e l’Arabia Saudita e gli Emirati, che intendono procedere ad ogni costo con le operazioni militari in barba alle preoccupazioni di chi teme l’acutizzarsi di ciò che è stato definito la più grave crisi umanitaria che ci sia oggi nel mondo.

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