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Messico e nuvole… di sfide. Il futuro (difficile) per Amlo

Sono passati quattro anni da quando un gruppo di dissidenti della sinistra messicana, in una casa del quartiere Roma a Città del Messico, fondò il partito Movimento per la Rigenerazione Nazionale (MORENA). Sebbene il discorso della nuova formazione politica fosse basato sul rinnovamento politico, la battaglia contro le “caste” e le potenze economiche, il leader di MORENA, Andrés Manuel López Obrador, non è un outsider della politica. È stato membro del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) per più di 12 anni e questa è la terza volta che si presenta alle elezioni presidenziali in Messico.

Oggi però sembra destinato al trionfo (qui il corsivo del direttore Roberto Arditti). Secondo gli ultimi sondaggi, López Obrador vincerà le elezioni e MORENA entrerà come uno tsunami al Congresso, dove potrebbe vincere la maggioranza assoluta. Domenica i partiti politici, che per più di 70 anni si sono divisi il potere in Messico, PRI e PAN, rischiano di sparire dallo scenario.

Le idee e le proposte di López Obrador, non sono praticamente mai cambiate. Da quando era dirigente del movimento degli studenti, ha sempre sottolineato che in Messico le grandi imprese godono di favori fiscali e che lo Stato dovrebbe dedicare più risorse per combattere la povertà e la corruzione. Questa volta però, a differenza delle campagne del 2006 e del 2012, usa un linguaggio più moderato. Non vuole spaventare gli elettori e cerca di sfruttare la delusione dei messicani contro “La Mafia del Potere”, come chiama il bipolarismo PRI-PAN.

Mentre gli altri due candidati, Ricardo Anaya e José Antonio Meade, hanno evitato di spiegare in dettaglio il programma di governo, e preferiscono concentrarsi su come AMLO sia nemico del settore privato, il candidato di MORENA ha portato il suo progetto politico alla portata di tutti. “Se il presidente è onesto, governatori e presidenti di municipio saranno onesti – si legge nel testo – […] Vogliamo trasformare il modello di sviluppo attuale, per uno che sconfigga la decadenza e garantisca il benessere e la felicità”. Parole semplici, quasi banali, che hanno conquistato quasi tutti.
In un’editoriale pubblicato a febbraio, il settimanale britannico The Economist sosteneva che “bisognava essere coraggiosi per sfidare Andrés Manuel López Obrador”. Anticipava che la scelta era tra le due opzioni di vero cambiamenti, Araya e AMLO.La crescita economica e la battaglia contro la violenza e la corruzione restano le sfide principali del prossimo presidente messicano. Durante la campagna elettorale del 2012 sono stati uccisi nove candidati; in questa campagna, la più sanguinosa nella storia del Paese, 122. Il 2018 batterà tutti i record: tra gennaio e maggio ci sono stati 20.506 omicidi, mentre nel 2017 la cifra totale è stata di 25.339.Vinte le elezioni, in ambito economico l’incertezza è il vero fantasma da sconfiggere. È vero che nei cinque anni come governatore di Città del Messico, AMLO non ha sprecato risorse né demonizzato l’impresa privata. Ma tutti gli occhi degli investitori (nazionali e stranieri) sono sul progetto di costruzione del nuovo aeroporto della capitale da circa 4 miliardi di dollari (con contributi di Carlos Slim, fra gli altri) e sul futuro della riforma energetica approvata da Enrique Peña Nieto nel 2013. Il destino di queste iniziative sarà il termometro per misurare quanto “chavismo” c’è in Andrés Manuel López Obrador.In quanto ai rapporti con il vicino, Donald Trump, il rischio è lo scontro tra simili, come anticipò il quotidiano The Washington Post. Tuttavia, López Obrador ha un piano di ravvicinamento: ha proposto l’economista Jesús Seade, dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio, come leader per i negoziati del Trattato di Libero Scambio in America del Nord. Seade vive da anni a Hong Kong ed è stato membro del consiglio di assessori del Commercio e l’Industria del governo di Hong Kong.

Inoltre, il futuro presidente messicano vuole sviluppare il progetto di Alleanza per lo Sviluppo del XXI secolo, ispirato nel piano di cooperazione economica tra i Paesi limitrofi con gli Usa proposto in passato da John F. Kennedy. Un ritorno al passato per riuscirci nella sfida di cambiare il Messico.

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