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La zona di competenza in mare non è questione di lana caprina. E la Diciotti può essere un inizio seriale

Tunisia

Disinnescata la mina più pericolosa – quella di un conflitto istituzionale – il caso della nave Diciotti, con il suo carico di 67 migranti, è tutt’altro che chiuso. Lo sbarco ha consentito di porre fine ad una vicenda incresciosa. E di tutto ciò vale la pena di rallegrarsi. Ma ha anche creato un “precedente” che potrebbe legittimare comportamenti imitativi. E di tracciare, quindi, una nuova rotta per il traffico di esseri umani, dopo il ventilato divieto per le navi Ong. di approdare nei porti italiani.

Come è noto i naufraghi erano stati raccolti dalla Vos Thalassa, un rimorchiatore battente bandiera italiana armato dal gruppo olandese Vroon, destinato ad operazioni di supporto alla piattaforma petrolifera della Total, in prossimità delle coste libiche. Il salvataggio é avvenuto in quelle acque. Alcune fonti parlano della zona SAR (ricerca & salvataggio) libica. Ma non è chiaro se quest’area, il cui confine dovrebbe essere a circa 120 miglia dalla costa, esista o meno. In passato le autorità libiche avevano avanzato richiesta, per poi ritirarla. Comunque sia, il salvataggio non è avvenuto né nella zona SAR di Malta né tanto meno in quella italiana.

Da quanto dichiarato dal responsabile affari legali del Gruppo olandese, era intenzione del capitano della Vos Thalassa dirigersi verso la Libia, dove sbarcare i naufraghi raccolti. Il tutto nel rispetto delle leggi del mare. Che impongono il salvataggio e non certo il passaggio, verso altri lidi scelti dai nuovi passeggeri. Decisione impedita dalla loro reazione. “Appena la nostra nave ha girato verso Sud – racconta il rappresentante olandese – per poter incontrare un mezzo della Guardia costiera libica e trasferire i rifugiati, questi hanno cominciato a minacciare l’equipaggio”. Una piccola folla di una settantina di persone contro i dieci membri dell’equipaggio.

Per evitare il peggio, il capitano è stato costretto a chiamare in aiuto la Guardia costiera italiana, con due distinte richieste d’intervento. La prima nel corso della notte, la seconda a distanza di oltre 14 ore: segno evidente che le pressioni non erano diminuite. Finché dopo altre 3 ore la Diciotti aveva comunicato di essere pronta ad intervenire, per giungere sul posto qualche ora dopo ed effettuare il trasbordo, liberando, così, la Vos Thalassa dalla difficile situazione in cui si era trovata. Se i rapporti di forza fossero stati a favore dell’equipaggio, il capitano del rimorchiatore avrebbe potuto mettere agli arresti i più facinorosi. Nelle condizioni date, questa decisione era risultata impossibile.

Che durante quelle dodici – quindici ore sia stato commesso più di un reato, appare probabile. Sarà comunque compito della magistratura italiana accertarne la natura. Quel che fin dall’inizio si può, tuttavia, affermare è che episodi del genere non debbano più ripetersi. Al fine di scongiurare di aprire nuove rotte al traffico dell’immigrazione clandestina. Del resto le convenzioni internazionali parlano chiaro. L’obbligo italiano di garantire l’attracco nei propri porti – l’approdo più sicuro – scatta solo se il salvataggio avviene nella zona SAR di competenza italiana. Altrimenti sono gli altri Paesi (Libia o Malta) che devono provvedere.

Può sembrare una questione di lana caprina – quella della competenza – ma non è così. Se saltano quelle relazioni, gli unici a guadagnarci sono solo gli scafisti. Utilizzano imbarcazioni che possono reggere il mare solo per poche miglia. Quindi iniziavano una serie di trasbordi tra le diverse navi intervenute in soccorso, con l’obiettivo di giungere alla destinazione finale: i porti italiani. E così il cerchio si chiude. Ma si chiude anche il business.

È infatti evidente che il prezzo della corsa sconta la ragionevole aspettativa di un arrivo a destinazione. E che quindi i successivi passaggi sono compresi nel ticket. Chi salirebbe, altrimenti, su gommoni di fortuna, con un motore di pochi cavalli, per fare una traversata di oltre 100 miglia marine? È bene, quindi, che la magistratura italiana vada fino in fondo alla questione. Risolvere il caso di 67 migranti può sembrare poca cosa. Ma non é così. Può essere un inizio seriale, che va immediatamente stroncato.

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