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Dove vai se la manovra correttiva non la fai? I numeri di Confindustria

La manovra correttiva serve eccome. Una manciata di miliardi per mettere in definitiva sicurezza i conti pubblici italiani. Confindustria torna a ricordare che l’Italia è in perenne equilibrio precario su debito e deficit e non può certo permettersi colpi di testa. Pochi giorni fa il Centro Studi di Confindustria ha messo nero su bianco la necessità di effettuare un intervento correttivo sui conti pari a circa nove miliardi, con l’obiettivo di riportare il deficit in zona sicurezza.

Il governo gialloverde come noto vorrebbe spingere sull’acceleratore del disavanzo per portare a casa le misure simbolo del contratto, flat tax e reddito di cittadinanza su tutti. Da alcune slide diffuse dallo stesso Centro studi di Viale dell’Astronomia emergono alcuni dettagli in più. Per esempio, in questi ultimi tre anni, tra il 2015 e il 2018, l’Europa ha concesso all’Italia poco meno di 30 miliardi in termini di flessibilità sul deficit. Quasi a voler sfatare il mito del rigore e delle regole europee che hanno strozzato l’economia italiana.

Ma la vera partita come detto si gioca sul deficit. “Nel 2018, secondo il Documento di economia e finanza, la correzione strutturale è stimata pari a 0,1 punti di Pil  contro una richiesta Ue di almeno 0,3 punti”, scrive il Centro Studi. Per il quale, facendo due conti “il saldo strutturale peggiora di 0,2 punti. Quindi, per rispettare la regola sul saldo strutturale nel 2018, all’Italia sarebbe richiesta, nello scenario Def, una manovra di 0,2 punti di pil mentre nello scenario del Csc di 0,5”.

Un po’ di ordine per capire la precarietà dei nostri conti. Stando ai calcoli del Centro Studi, per il 2018 se si vuol rispettare i parametri Ue bisogna attuare una correzione da nove miliardi, ovvero lo 0,5% del pil. Il prossimo anno, ce ne vorranno 11, lo 0,6% del pil. Salvi che non si lasci aumentare l’Iva, come previsto dalle clausole di salvaguardia. “Per il 2019, l’aumento delle imposte indirette previsto dalla clausola di salvaguardia ovvero la sua compensazione con un pari aumento di imposte dirette, consentirebbe di rispettare le regole Ue”, scrive il Csc.

Nel frattempo, sono arrivate anche le indicazioni, di un altro Centro studi, il Ref. Per il quale “dopo la formazione del nuovo governo, non è ancora immediato individuare la cornice di policy che guiderà gli andamenti dell’economia italiana. La partenza del nuovo governo è stata difatti caratterizzata da un approccio di politica economica incerto. Si è costruito un “contratto” fra i partiti della coalizione contenente misure che comportano impegni finanziari di entità eccezionale senza indicarne le possibili fonti di finanziamento e sono state riprese alcune posizioni antieuropeiste”.

Per fortuna, ha ricordato il Ref, ci ha pensato il ministro Giovanni Tria a ricordare la realtà dei fatti. “Dopo di che, il ministro Tria ha più volte ribadito l’intento di non fare deviare i saldi di finanza pubblica dal percorso indicato nel Def, ed escluso che vi siano programmi di abbandono delle moneta unica”.

 

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