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Conte e Trump, il prezzo dell’amicizia

Usa

La collaborazione tra Asi e Nasa per un aereo in grado di volare tra Italia e Stati Uniti di un’ora e mezzo è l’unica vera sorpresa emersa dalla conferenza stampa tra il presidente Donald Trump e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Dal riconoscimento del ruolo italiano nel Mediterraneo e, in particolare, in Libia, fino alla preferenza per il gasdotto Tap rispetto al North Stream 2, tutti gli altri temi corrispondono largamente alle anticipazioni già filtrate sulla stampa italiana. Largamente scontata anche la sottolineatura del rapporto personale tra i due capi di governo, che per tutti i quaranta minuti si sono lanciati “Donald” e “Giuseppe” a piene mani.

Entrambi hanno rivolto l’intervento iniziale, accuratamente preparato, tanto che persino Trump si è attenuto al testo scritto, al pubblico di casa, autoelogiandosi o sottolineando quanto di utile per sé poteva esserci nelle parole dell’altro. Molto spazio è stato quindi riservato al tema dell’immigrazione, benché i due paesi non abbiano alcun confine o problema tra loro. Quel che premeva sottolineare era la propria decisione nell’affrontare la crisi vera o percepita, e incassare una qualsiasi approvazione su un tema che in entrambi i paesi resta controverso. Altrettanto vale per il riconoscimento reciproco di sovvertitori di regole e del non essere politici di professione, con la sottolineatura da parte di Conte dell’impegno a rispettare gli impegni presi in campagna elettorale. Un approccio tutto sommato convenzionale, dunque, che i più cinici potranno interpretare come una disperata ricerca di consenso.

L’accento posto sugli stretti rapporti tra Italia e Stati Uniti non è parso particolarmente innovativo nei contenuti, ma senz’altro gioca nella direzione cara a Trump di sostituire i rapporti bilaterali a quelli multilaterali. È una strategia che di fatto indebolisce l’Unione Europea, che per Trump si identifica di fatto nella Germania e nei suoi rapporti energetici con la Russia, sgraditi agli Usa in chiave economica (più gas russo significa meno gas americano) ma paradossalmente in linea con la ripresa del dialogo politico con la Russia auspicato anche da Conte. L’importante, secondo l’Italia, sembra essere non danneggiare le Pmi russe, un’entità misteriosa che potrebbe essere stata un lapsus per quelle italiane.

In quest’ansia di amicizia e legittimazione Conte è parso scoprirsi più di Trump, al quale ha concesso ampi spazi e nessuna chiusura.

Sulla Tap, Conte ha detto di aver espresso con franchezza i dubbi delle comunità locali pugliesi verso un’opera del cui valore strategico “per l’Italia e il Sud del Mediterraneo” egli è personalmente convinto. Subito dopo, ha aggiunto che lui e i suoi ministri andranno a incontrare il sindaco per ascoltare (e, si immagina, superare) le loro perplessità.

Sull’aumento delle spese per la difesa dei paesi Nato, Conte si è detto d’accordo e addirittura ha sostenuto di voler trattare con gli altri paesi membri. Una posizione sorprendente dato l’antimilitarismo di ampie frange di M5S, ma corroborata dall’estrema cautela sulla questione F-35. Dopo aver sfoderato come una sorpresa la data dell’ingresso dell’Italia nel programma (“nel 2002… un arco di tempo notevole”), Conte ha ricordato la lunghezza dei processi decisionali e produttivi (con ciò avallando gli impegni assunti ancora in aprile 2018, un mese dopo le elezioni, per i primi pezzi di ulteriori F-35) e si è limitato a parlare di un esame che sarà fatto “responsabilmente” e “in piena trasparenza” con “il nostro partner”. Una posizione non diversa, in sostanza, da quella del “si fa ma non si dice” dei governi precedenti. Sarà interessante, a questo proposito, se il presidente del Consiglio si recherà a visitare Amendola, la base degli F-35 italiani, che dista una trentina di chilometri dalla natìa San Giovanni Rotondo. (E, a proposito di commesse militari, si spera che nella parte non pubblica dell’accordo Conte abbia perorato la causa del jet M346, in gara per rinnovare le esangui linee addestrative dei piloti Usa. Sarebbe l’affare del secolo, e un grande aiuto per i bilanci Leonardo. Su scala minore, ma ugualmente importante, la gara per gli elicotteri USAF).

Nessuna discussione sui 31 miliardi di deficit commerciale che gli USA vantano nei confronti dell’Italia. La cifra è stata buttata sul tavolo da Trump, senza alcun contraddittorio da parte di Conte. In verità l’abbattimento delle barriere qualitative – dagli estrogeni nella carne al grano tenero nella pasta – porterebbe potenzialmente a danneggiare la filiera italiana dell’agroalimentare. Anche qui, come con la Russia, è parso di assistere alla quadratura del cerchio o all’ubriacatura della moglie senza intaccare la botte.

Fin qui le impressioni a distanza e a caldo. Salvo la conferma del buon inglese di Conte, che ha parlato con scioltezza anche se con evidente accento, il governo del cambiamento non sembra aver cambiato il tradizionale allineamento italiano sulle posizioni americane. O, come si diceva una volta al Dipartimento di Stato, “Italy can always be taken for granted” – l’Italia si può sempre dare per scontata. Obama o Trump, purché se magna.

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