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Perché non concordo con la diagnosi di Galli Della Loggia sul futuro dell’Italia

Ernesto Galli della Loggia, nel suo ultimo editoriale su Il Corriere della sera, descrive con grande pathos, i difficili compiti che spettano alle nuove generazioni. In un orizzonte profondamente segnato dal pessimismo della ragione. “Alla generazione che oggi ha vent’anni – scrive il nostro – e a quelle successive toccherà dunque di costruire un Italia nuova da ciò che rimane di quella che oggi declina”.

Esiste, innanzitutto, un problema demografico immenso. Sempre meno figli ed un preoccupante invecchiamento della popolazione. L’immigrazione può essere una risorsa, ma richiede interventi volti a costruire una “nuova identità nazionale” basata su ha una combinazione di valori: quelli tradizionali indubbiamente, ma aperti alla contaminazione con quelli dei nuovi venuti.

Altro problema è “salvare lo stesso volto fisico della penisola”, arrestando quel degrado universale che ne colpisce ogni singola giuntura. Non è solo il dissesto territoriale che va fermato, ma posto un limite all’esercito sconfinato dei turisti e alla loro logica dell’”usa e getta”. Che rischia di snaturare ogni luogo della memoria. Occorrerà, quindi, una nuova statualità. Se non altro perché “stanno andando in pezzi le regole costituzionali, i panorami ideologici e partitici, le architetture istituzionali e le reti di alleanze”. Che “dalla fine della Seconda guerra mondiale” hanno segnato, con la loro presenza, i destini del mondo.

Il crollo simultaneo di tutti questi elementi ha determinato un vuoto che le nuove generazioni dovranno colmare, facendo appello a tutta la loro determinazione e capacità progettuale. Consapevoli di non poter contare sul fallimentare lascito delle generazioni che le hanno precedute. Diagnosi impietosa. Quasi senza speranza.

Eppure se si volge indietro lo sguardo, un barlume di ottimismo può avere diritto di cittadinanza. Le vecchie generazioni, quelle che hanno fallito nella consegna del testimone, secondo l’autore, hanno avuto un percorso molto più accidentato dei millennials. Allora l’Italia usciva a pezzi da un conflitto sanguinoso. Distrutta nel morale ancor prima che nelle sue strutture portanti. Gli italiani hanno dovuto scoprire e con successo i riti di una democrazia, in precedenza sconosciuta. Ricostruire una classe dirigente dopo la fuga di Casa Savoia di fronte al nemico. Ed il crollo che ne era derivato nel fuoco della lotta partigiana.

Una vita grama, per un lunghissimo periodo di tempo: questo è il ricordo rimasto impresso nella memoria. La carenza di abitazioni era un fatto endemico. Le poche case di proprietà spesso occupate dagli sbandati della guerra. In edifici senza alcuna comodità, dove lo stesso riscaldamento era un lusso sconosciuto, esponenti della piccola borghesia erano costretti a vivere, in una sorta di coabitazione forzata, con personaggi tutt’altro che facili da frequentare. Nel frattempo l’inflazione, sostenuta dall’eccesso di circolazione delle am-lire (la moneta stampata dagli americani) falcidiava salari e stipendi, mentre il debito pubblico raggiungeva valori superiori a quelli attuali.

L’Italia, alla fine, pur con mille contraddizioni e sacrifici, fu reinventata. Lo fu grazie alla rivoluzione industriale, ai processi di migrazione interna verso il triangolo industriale, alla riforma agraria nata dalle lotte contadine. Fino a salire progressivamente nella gerarchia delle classifiche internazionali e recuperare il posto perduto dopo le folli smanie di grandezza del regime fascista. Ormai incapace di comprendere i cambiamenti intervenuti nei rapporti di forza in Europa e nel Mondo.

Se si pensa alla durezza di quelle sfide, l’idea che, ancora una volta, nelle mutate condizioni del presente, l’Italia possa farcela non è peregrina. Bisognerà lottare, cercare come un rabdomante l’acqua che scorre nel sottosuolo ed indica la via. Ma non è un’impresa impossibile. Lo stesso calo demografico, fenomeno indubbiamente preoccupante, va tuttavia analizzato alla luce di quella che sarà la quarta rivoluzione industriale, che richiederà meno input di energia lavorativa. Cambiamenti ai quali non siamo ancora preparati, visto lo stato poco edificante dei livelli di istruzione e di formazione conseguiti. Ma nulla a che vedere con lo stato di semi analfabetismo che caratterizzò l’immediato dopo guerra.

Una riflessione sul passato non contribuisce certo ad assolvere completamente le generazioni che hanno guidato il nostro Paese. Di certo, tuttavia, ne impedisce quella sorta di criminalizzazione che è nelle corde del giovanilismo dei 5 Stelle. Ma soprattutto mostra l’esistenza di un potenziale sommerso che emerse in quegli anni difficili e che non si è esaurito. Sempre che la politica dei millennials sappia farlo nuovamente tornare in superficie.

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