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Ecco chi pagherà i ritardi della Tav

C’è una forte contraddizione tra l’annunciato programma di rilanciare l’economia tramite 50 miliardi d’investimenti pubblici in infrastrutture e i nuovi ostacoli frapposti al completamento della ferrovia ad alta velocità (Tav) tra Torino e Lione. Da un lato, è stato ampiamente documentano che i progetti “cantierabili” ( e tali, quindi, d’avere effetti positivi entro questa legislatura) non ci sono: occorre pescarli tra quelli, peraltro già finanziati, della ‘legge obiettivo’. Da un altro, il cantiere Tav è già aperto e ove l’Italia decidesse di non proseguire l’opera, le “penali” e finanziamenti da restituire alla Commissione europea ed alla Francia che potrebbero raggiungere i 2 miliardi di euro.

La realizzazione del tunnel – è utile ricordarlo – è stata prevista sin da quando è stato allestito il progetto negli anni novanta e ne assicura la coerenza globale in quanto parte integrante di un corridoio ferroviario da Lione a Budapest e per raggiungere successivamente Kiev (in gergo l’asse ferroviario n. 6 delle grandi rete europee).

È opportuno ricapitolare i punti essenziali della questione. Il progetto complessivo è stato presentato dall’Italia alle autorità europee nella legislatura 1996-2001- in particolare dal governo D’Alema. Era stato preparato con il supporto scientifico anche della società di ricerche Nomisma s.p.a, creata da Romano Prodi, il quale, inoltre, era stato nominato dai Governi a guida democristiana degli anni Novanta, Garante per l’Alta Velocità. I funzionari europei hanno espresso dubbi non sull’utilità del progetto, ma sulla sua urgenza (rispetto ad altre grandi opere). Alla fine del 2003, grazie all’azione della nostra diplomazia economica (i ministeri degli Affari Esteri, dell’Economia e delle Finanze e delle Infrastrutture hanno dato prova di stretto ed efficace coordinamento), nonché di analisi economiche effettuate con il metodo delle “opzioni reali” (che tiene conto della “finestra di opportunità” – positive e negative – derivante dal progetto per tutte le parti in causa), la Commissione europea, allora presieduta da Romano Prodi, ha inserito il progetto nella “quick list”, l’elenco delle opere inter-europee a cui dare attuazione con priorità.

La linea dei governi italiani è stata perseguita con chiarezza, trasparenza e rigore per oltre tre lustri, quale che fosse il colore politico della maggioranza: senza l’infrastruttura le nostre imprese sarebbero tagliate fuori dalle grandi linee di comunicazione europee con un forte aggravio dei loro costi (sia per ricevere input, sia per inviare le merci verso i mercati esteri), con una conseguente caduta di competitività (che si aggiunge a quella in atto da oltre un decennio).

Come sappiamo, dalla fine del 2005 (in parallelo con l’apertura dei cantieri da ambedue i versanti alpini) vengono attivate proteste, che hanno assunto anche caratteristiche violente, contro la Tav, e in particolare contro il tunnel a due tubi in Val di Susa. La situazione ha del paradossale. Per decenni, lo schieramento culturale, ancora prima che politico, vicino alla sinistra ha sostenuto la superiorità (specialmente per le merci) del trasporto ferroviario rispetto a quello su gomma in termini di minori costi (e soprattutto minori sinistri). In Italia, il secondo è diffuso molto più del primo a ragione delle inefficienze delle nostre ferrovie, che la Tav (non solo in Val di Susa) intende curare. Analogamente, per decenni gli ambientalisti hanno sottolineato come il trasporto ferroviario sia preferibile a quello su gomma. Adesso, almeno sulla base delle dichiarazioni ufficiali, le posizioni paiono rovesciate.

Quali che siano le convenienze di breve e medio-lungo periodo dei partiti e degli schieramenti politici occorre chiedersi quali sono gli interessi economici delle imprese, in particolare delle piccole e delle medie imprese (pmi). Sono probabilmente quelle maggiormente interessate ai benefici del progetto, anche se necessariamente le Pmi della Val di Susa finirebbero con subire costi indiretti per la durata del cantiere (che potrebbe essere molto lunga – anche 15 anni), poiché la realizzazione delle opere non potrebbe non creare (unitamente a un forte aumento dell’occupazione e dei consumi) un notevole scombussolio rispetto alla situazione e alle prassi di lavoro attuali (a ragione tra l’altro dell’afflusso, nella valle, di un vasto numero di lavoratori dal resto d’Italia, dell’Ue e del mondo). Ciò potrebbe essere compensato con una vasta gamma di incentivi.

I numeri sono da far venire i brividi. Dal 1997 ad oggi la quota di traffico merci che utilizza l’autostrada tra Italia e Francia è passata dal 77% al 90%, con un forte impatto sull’ambiente lungo l’arco alpino dove attualmente circolano 42,5 milioni di tonnellate di merci, con quasi 2 milioni e 800 mila tir. I dati sono contenuti nel rapporto “Verifica del modello di esercizio per la tratta nazionale lato Italia”, redatto dall’Osservatorio per l’asse ferroviario Torino-Lione. Nel solo gennaio 2018 attraverso il tunnel autostradale del Frejus sono passati 64.860 tir, quasi 2.100 al giorno. Il traffico per ferrovia continua invece a diminuire perché la linea attuale ha caratteristiche infrastrutturali tali da non consentire di reggere la concorrenza della strada e delle linee più moderne come quelle svizzere. È innegabile che la crisi economica abbia fatto diminuire per alcuni anni – tra il 2007 ed il 2014 – i volumi di traffico, ma questo è successo su tutti gli assi, non solo verso la Francia. Altrettanto è accaduto verso Svizzera ed Austria, ma nessuno si è mai permesso di chiedere di interrompere i lavori al Brennero o al Gottardo. Dal 2014 essi i volumi sono di nuovo in crescita (+6,6% in tre anni). Il traffico merci trasportato su ferrovia registra da oltre un decennio una notevole riduzione: il dato più recente (3,9 milioni di tonnellate nel 2010) è pari a meno del 40% rispetto al massimo storico (10,1 milioni di tonnellate nel 1997).

Dato il vero e proprio ingorgo in Val di Susa, parte del traffico merci su gomma viene dirottato sulla costa ligure con implicazioni molto gravi per l’inquinamento in Riviera.

I nuovi ritardi della Tav verranno pagati dai contribuenti, dalle imprese, dai cittadini, tutti a causa della ridotta competitività e del maggiore inquinamento. Ne vale la pena?

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