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Così l’Italia sarà protagonista nell’intelligenza artificiale. Parla Rita Cucchiara

Di Michele Pierri e Rebecca Mieli

L’Italia ha oggi tre dei cento laboratori di intelligenza artificiale più importanti al mondo. Eppure fatica, al pari di altri Paesi europei, a competere con colossi del calibro di Stati Uniti e Cina. Per farlo dovrebbe muoversi unita, dimenticando i personalismi e abbracciando una collaborazione proficua per tutti. La ricerca italiana prova a dare il buon esempio raggruppando, sotto uno stesso ‘tetto’, tutte le eccellenze italiane del settore. La casa comune dell’IA italiana, presentata oggi a Roma all’Università Sapienza, sarà infatti il nuovo Laboratorio Nazionale di Intelligenza Artificiale e Sistemi Intelligenti coordinato dal Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica (Cini). A guidarlo sarà Rita Cucchiara, professoressa dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, che in una conversazione con Formiche.net racconta sfide, problematiche e scenari di questo innovativo e affascinante settore.

Professoressa Cucchiara, come nasce l’idea di questo laboratorio? Che obiettivi vi siete prefissati?

Ci siamo resi conto che in Italia, nella ricerca, siamo bravi. Non siamo i migliori al mondo ma siamo tra i migliori, e ce ne accorgiamo perché i nostri studenti vengono acquisiti immediatamente all’estero. Però siamo sempre stati molto divisi: sei associazioni e altri rami di ricerca, insomma, serviva un laboratorio nazionale che unisse intelligenza artificiale e sistemi intelligenti, un qualcosa che mettesse insieme hardware e software. In tre settimane, 43 università italiane pubbliche – quasi la totalità -, e i tre più importanti centri di ricerca del Paese, ovvero il Cnr, l’istituto Italiano di Tecnologia e l’Fbk di Trento, ci hanno richiesto delle collaborazioni. Almeno settecento docenti italiani hanno dichiarato di lavorare sull’intelligenza artificiale di voler cooperare con noi.

Di che cosa si occuperà nello specifico?

Gli elementi che costituiscono l’intelligenza artificiale sono tre: percezione, ragionamento e azione. Percezione, ovvero analisi di immagini e video, elaborazione del linguaggio naturale, del suono per poter acquisire dati. Ragionamento logico e associativo significa apprendimento, quindi metodi di ragionamento automatici derivati dalle informazioni acquisite. Azione invece indica il campo di ricerca che si occuperà di robot autonomi, auto autonome, robot collaborativi ma anche strumenti software autonomi, e anche output verso la realtà aumentata.

Quali sono i principali trend nello sviluppo dell’IA che vedremo nei prossimi anni?

Il trend dei prossimi cinque anni sono le reti neurali profonde, ovvero il deep learning. Sistemi di milioni di nodi che imparano e apprendono. I detrattori di quest’innovazione argomentano dicendo che questi sistemi sono delle scatole nere e non è facile capire il loro funzionamento. In realtà i trend futuri sono di rendere sempre più queste reti comprensibili e accettabili. L’autoapprendimento ci permette anche di superare il concetto della necessità dei big data, ci sono alcuni sistemi che apprendono anche con pochissimi esempi: il futuro è quello dell’adattabilità dei sistemi all’ambiente e all’interazione con l’essere umano anche senza avere troppa conoscenza a priori ma imparando nel tempo. Questo ci permetterà di applicare le reti neurali anche nelle interazioni con ambiente ed essere umano, specialmente per quanto riguarda le macchine autonome.

Se ne discute molto, ma quale impatto avrà davvero l’IA sul mondo del lavoro?

Tra i dieci lavori più affascinanti del 2030 è inserito anche l’insegnante dei robot. Noi dovremmo convincere i nostri studenti a seguire facoltà scientifiche come informatica e ingegneria informatica. La tecnologia è imprescindibile anche quando si vuole perseguire un percorso umanistico, ad esempio attraverso le digital humainities. Oltre a quanto già detto, sicuramente l’IA avrà un impatto sulla medicina, come sta già avendo in Olanda e tanti altri Paesi al mondo dove i due settori hanno già iniziato a convergere. A noi manca questa stretta collaborazione tra medicina e IA, nonostante le neuroscienze saranno sempre più legate all’informatica. Un appello soprattutto alle donne, questa materia è assolutamente femminile e non solo per nerd.

Servono nuovi strumenti di welfare per accompagnare questa transizione?

Servono delle attività di life long learning, molto recenti e utili. Una grande parte della popolazione dovrebbe essere “ri-addestrata” verso le nuove tecnologie, sicuramente serve avere delle politiche che possano dare una mano a chi non solo ha perso il lavoro, ma ha uno non adeguato alle proprie capacità, fornendo anche un corso per adulti su questo tipo di attività. In questo mondo si trova lavoro, quindi dobbiamo indirizzare i giovani a scegliere un percorso tecnologico e scientifico.

A che punto è in Italia la ricerca scientifica in questo campo?

Dei cento laboratori di intelligenza artificiale più importanti al mondo, tre sono in Italia. Sono il Cnr, la Sapienza e quello di Trento come ho già accennato. Abbiamo una serie di eccellenze, colleghi che hanno ricevuto fondi europei per la ricerca su IA e ospitiamo alcune delle conferenze più importanti al mondo. L’anno scorso a Venezia abbiamo ospitato 4500 persone alla conferenza di IA che si è rivelata una delle più importanti al mondo e abbiamo le scuole sul deep learning con più di cinquecento studenti. Lavoriamo molto con gli Stati Uniti su questo.

Crede che i Paesi europei, da soli, possano affrontare questa sfida al pari di colossi come Usa e Cina? Come valuta una coalizione europea per concentrare gli sforzi e non duplicare iniziative?

L’Europa vuole partecipare alla sfida, deve, non so però quanto potrà. In primo luogo perché non è particolarmente unita. L’Unione europea ha firmato il 23 aprile il primo documento congiunto sull’intelligenza artificiale, però le singole nazioni stanno lavorando per conto proprio. Su alcuni temi però, che interessano più l’Unione Europea per gli obiettivi che si propone, e che parallelamente interessano meno a colossi come Cina e Stati Uniti, potrebbe esserci una cooperazione maggiore. Mi riferisco, ad esempio, alla collaborazione tra macchine ed esseri umani in ambito di welfare, ad esempio l’aiuto che queste macchine possono dare nell’invecchiamento della popolazione e quindi a migliorare la qualità della vita è davvero tanto. Questi temi sono poco produttivi per gli Stati Uniti e forse non interessano la Cina, ma sono utili quando si tratta di Europa.

La Commissione europea ha aumentato gli stanziamenti per questo settore. Sono sufficienti? Quali misure politiche crede sarebbero auspicabili?

Io spero che ci sia una grande mobilitazione del settore privato. Le imprese manifatturiere italiane sono importanti e comprano anche dalla ricerca italiana, che tende ingiustamente ad essere valutata meno prestigiosa di quella statunitense. Se i privati investono, allora deve investire anche il settore pubblico, a maggior ragione quello italiano. Non solo la ricerca è fondamentale in ogni ambito, ma in questo in particolare abbiamo davvero carenza di forza lavoro, perché i nostri migliori dottorandi vanno all’estero. In questo momento le multinazionali all’estero stanziano fondi enormi per la ricerca in ambito informatico e ingegneristico. Ad esempio miei ex alunni che sono in Amazon, Facebook, Panasonic guadagnano davvero tantissimo, anche più degli stessi professori universitari americani. È difficile trattenere qui chi vuole fare ricerca se i fondi sono così ridotti, e allo stesso tempo così elevati nelle aziende private all’estero.

Perché oggi è importante investire nell’intelligenza artificiale?

Io so che gli investimenti nella ricerca sembrano non pagare e non essere impellenti. Sono però gli unici che potranno farci vivere bene nel futuro. Questo vale sia per la ricerca teorica che pratica, abbiamo davvero bisogno che lo stato italiano ci supporti con tantissimi ricercatori in quanto quest’area è quella considerata più promettente nei prossimi 15 anni.​​

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