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Il multilateralismo è finito? L’effetto Trump spiegato da Minuto Rizzo

Di Alessandro Minuto Rizzo

Un mondo senza regole? Comanda il più forte? Si vedono aspetti nuovi nelle dinamiche internazionali e cambiano le percezioni. Ma in cosa consiste il cambiamento e cosa è realmente novità assoluta? Sappiamo che la competizione per il predominio è sempre esistita, che l’umanità è sempre vissuta fra sovrani, sacerdoti e potentati di ogni genere che hanno cercato di egemonizzare i loro vicini.

Comunque si era avuto, alla fine della Seconda guerra mondiale, un cambiamento sistemico. È nato così il multilateralismo, sono sorte le istituzioni che hanno marcato, in positivo, il nostro sviluppo. Parliamo di Nazioni unite, Banca mondiale, Fondo monetario internazionale, Alleanza atlantica, ecc. Comportano metodologie di negoziato che portano verso il consenso, e che inevitabilmente accorciano le distanze fra Paesi forti e deboli. Ora però sono in difficoltà, mentre riemerge il bilateralismo dove chi è più forte cerca di far sentire il suo peso. Contano molto di più le personalità dei rispettivi leader, il sistema nazionale che hanno alle spalle e gli obiettivi che si pongono.

Perché tutto ciò sta avvenendo? Non c’è una sola risposta. Gli uomini cambiano mentalità, e oggi sentono meno il pericolo di un sistema senza regole. I problemi del mondo si sono intrecciati, gli attori moltiplicati, la crescita complessiva ha nascosto delle forti diseguaglianze all’interno delle società. Il potere politico dei Paesi reagisce con maggiore aggressività verso l’esterno. La diffusione simultanea dell’informazione e i social network alimentano una ricerca di eguaglianza e di sicurezza.

Tradizionalmente contava solo il nord del mondo, i grandi Paesi erano pochi. Il primo esempio concreto del “nuovo” è ovviamente l’America di Trump. Dove lo slogan elettorale “America per prima” sembra essere diventato “America da sola”. Bolton, nuovo consigliere per la Sicurezza nazionale, ha dichiarato che se oggi si dovesse rifondare il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, questo dovrebbe avere un solo membro: gli Stati Uniti d’America. Significativo e insieme preoccupante per gli alleati.

Come reagire concretamente? Tutt’altro che facile. Volendo si può rompere, ma servirebbe davvero? Prendiamo il caso delle nuove sanzioni all’Iran. Certo gli europei possono continuare i loro commerci, ma saranno soggetti essi stessi a sanzioni. Conclusione: devono scegliere fra il mercato americano e quello iraniano. Il ruolo centrale degli Usa nel sistema finanziario internazionale e l’uso del dollaro come moneta di riserva danno a Trump un immenso potere. Il Giappone è deluso dall’uscita degli Usa dal Partenariato Trans-Pacifico (Ptt), ma come rinunciare alla protezione americana quando Cina e Corea del Nord possono diventare delle minacce? Naturalmente l’unilateralismo ha dei costi sul piano della legittimità, ma al momento pone seri problemi.

Erdogan viene al secondo posto fra gli uomini forti. Le sue scelte hanno completamente cambiato l’immagine della Turchia, in alcuni casi in direzioni nuove, come nel caso dell’amicizia con la Russia che contraddice una politica secolare. L’accanimento contro i curdi, la reazione al malaugurato colpo di Stato, la riforma della Costituzione pongono seri quesiti sul rispetto dei diritti democratici. Aggiungiamo che l’appartenenza alla Nato consente ad Ankara di porre veti all’interno dell’Alleanza. Il contrario non avviene. La comunità internazionale esita a reagire perché la Turchia è troppo importante e non si sa ancora che fare.

Putin è considerato come l’uomo forte per antonomasia. Egli si presta volentieri a questa veste, sia quando pratica arti marziali sia mostrandosi come comandante in capo. Questa politica è coerente con il suo disegno di una Russia riscattata dalla sciagura dello scioglimento dell’Unione Sovietica. Destinata invece dalla storia al ruolo di superpotenza mondiale, portatrice di valori propri. Tale ambizione rappresenta la chiave di entrata per qualsiasi analisi sul Paese. Putin è coerente con la sua visione del ruolo nazionale (per certi versi come Trump). Così si spiega la simpatia che riscuote, dimenticando il deficit democratico.

Questa breve analisi non comprende il presidente a vita cinese Xi Jinping perché implicherebbe un discorso approfondito sul percorso storico della Cina e sul suo ruolo nel mondo. Possiamo solo dire che egli gioca abilmente la parte della moderazione, quasi da difensore del multilateralismo. Contemporaneamente, procedendo alla conquista dell’Africa e a grandi progetti di interesse nazionale quali la Via della seta.

Il leader nord-coreano è diventato di recente un uomo da prima pagina, passando da feroce despota di un oscuro Paese a protagonista del grande gioco internazionale. Riconciliazione con la Corea del Sud, disponibilità a rinunciare al programma nucleare, suo gioiello della corona, previsione dell’incontro con Trump, sono colpi di teatro che raramente si erano visti prima. Prendendo per buona l’ipotesi che tali cambiamenti siano realmente volontari, un incontro al vertice con gli Stati Uniti rappresenta il massimo di visibilità concepibile nel sistema internazionale. Se realizzato, un successone per il misterioso, sfuggente dittatore. Così oggi va il mondo!

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