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La grandezza di Sergio Marchionne, il manager che ha rotto gli schemi

Il meno italiano degli italiani, secondo i luoghi comuni che ci vorrebbero visionari, ma organizzatori rivedibili. Neppure italiano, per i più velenosi fra i suoi critici, lui così nordamericano e troppo concentrato nel dare un futuro globale alla Fiat, per essere un campione di italianità. Poi, quella sede portata lontana da Torino, mentre insieme a struttura e alleanze imponeva addirittura il cambio di nome dell’azienda.

La verità è che Sergio Marchionne ha fatto di più per il nostro Paese di generazioni di politici (diciamo un paio, per esser chiari). Lo ha fatto partendo da una situazione pressoché fallimentare e rifiutandola. L’idea era semplice e rivoluzionaria: la Fiat, per sfuggire a un futuro plumbeo, doveva rilanciare sui tavoli più importanti e giocare una partita completamente nuova, da vero player internazionale. Per farlo, Marchionne ne era consapevole, andavano abbattuti pregiudizi e resistenze di ogni tipo, interne ed esterne all’azienda. La grandezza del manager, la portata visionaria dei suoi 14 anni, è stata proprio questa: ragionare come in Italia non si era mai ragionato.

Marchionne ha sfidato il sindacato sul suo terreno, portando la sfida fra i lavoratori e costringendoli a una scelta di campo, fra modernità e schemi novecenteschi. Così facendo, ha certificato la crisi irreversibile delle organizzazioni confederali. Una realtà palese da anni, che nessuno però aveva avuto il coraggio di mettere alla prova dei fatti. Dal braccio di ferro di Pomigliano, ad esempio, il sindacato è uscito traumatizzato, ma anche costretto a varcare la soglia del terzo millennio. Una vittoria per tutti, ma riconosciuta solo tempo dopo e costata al N.1 di Fca anni di insulti e puro odio di classe.

Lo ha sempre detto, del resto: comandare è sostanzialmente essere soli. La responsabilità è del capo e la si esercita perlopiù in solitudine. Certo, i compagni di strada giusti e di qualità hanno fatto la differenza, nei quasi tre lustri che hanno rimesso (o messo…) Torino al centro del mondo, ma le scelte strategiche sono state sue. Ne costituiscono il lascito, in queste ore di sbalordimento generale. Perché a Marchionne ci siamo abituati tutti. Ai suoi modi, a un tono della voce che non lascia spazio alla fantasia e allo spettacolo, a una comunicazione scarna, ma di enorme sostanza. Ecco, questo onestamente poco italiano…

Il maglione, un chiarissimo vezzo, ma non fine a se stesso. Nel mondo dei gessati e degli ingessati, Sergio Marchionne ha giocato in contropiede per anni, presentandosi nello studio ovale della Casa Bianca esattamente come agli incontri meno formali. Si badi, da buon anticonformista, anche per lui la forma resta sostanza, ma è una forma chiamata a farsi sfondo delle decisioni da prendere e da comunicare. Il maglione e i pantaloni rigorosamente scuri, sempre uguali a se stessi, sono stati per anni una specie di palcoscenico minimal. Era altro a dover risaltare e oggi possiamo dire: ‘missione compiuta’. Nulla è garantito, ma se Fca ha un futuro lo deve alla dura sostanza di quest’uomo. Un futuro che passa da 263mila posti di lavoro, in tutto il mondo.

Non parliamo a caso di dura sostanza, perché Marchionne ha dimostrato di saper essere molto deciso, se non spietato, non solo quando si è trattato di mettere in riga sindacati e concorrenti, ma anche di fare ordine in casa propria. L’addio di Luca Cordero di Montezemolo alla Ferrari ne è la prova più lampante. Un uomo che ha vinto come nessuno, messo neppure troppo gentilmente alla porta, perché non si vinceva più. Una ferita mai del tutto rimarginata fra i due, giustificata dall’esigenza di rispolverare la gemma più splendente della corona, quel Cavallino rampante, che non può che vincere, per alimentare il suo mito (e i suoi conti).

Sarebbe piaciuto, ne siamo certi, proprio a Enzo Ferrari, l’uomo che metteva davanti a tutto sempre e comunque il successo delle sue macchine. Un agitatore di uomini, si definiva. Un ritratto che ci piace riservare anche a Sergio Marchionne, che con il suo stile e quello sguardo sempre apparentemente ironico sulle cose e le persone, ci fa sentire orgogliosi di essere italiani.

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