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La salvezza non è una teologia della prosperità, ma un dono. La riflessione di Spadaro e Figueroa

COMPASSIONE, papa francesco, Figueroa

Il direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, e il direttore dell’edizione argentina dell’Osservatore Romano, il pastore Marcelo Figueroa, hanno pubblicato nel luglio dello scorso anno un saggio sul fondamentalismo evangelicale e l’integralismo cattolico, una sorta di “ecumenismo dell’odio” molto radicato soprattutto negli Stati Uniti. Fu un evento globale, che accese una discussione protrattasi a lungo. Ora, sul numero di imminente pubblicazione de La Civiltà Cattolica, tornano a parlare alle opinioni pubbliche mondiali, soffermandosi sull’antefatto teologico di questo pensiero, la teologia della prosperità, e quindi sul pericolo molto concreto che si diffonda “un vangelo diverso”. È una lettura cruciale perché coinvolge tantissime persone, spiega un pensiero che si diffonde e che oggi coinvolge ambienti autorevoli e anche vicini al Presidente degli Stati Uniti.

Infatti per la teologia della prosperità, nata negli Stati Uniti e diffusasi in tutto il continente americano, in alcuni paesi africani e in Asia, in Corea del Sud in particolare ma anche in Cina, Dio vuole la prosperità, il benessere e la felicità individuale dei suoi fedeli. Ovviamente il sogno americano, che ha visto tanti affrontare enormi sacrifici per trasferirsi nel nuovo mondo e conquistare con il loro lavoro un ruolo impossibile nel vecchio mondo, ne è parte cruciale. Ma non per il sudore, la fatica, l’impegno lavorativo dei migranti. “La teologia della prosperità prende spunto da questa visione, ma la traduce meccanicamente in termini religiosi, come se l’opulenza e il benessere fossero il vero segno della predilezione divina da «conquistare» magicamente con la fede”.

Dopo una rapida ricostruzione della mappa globale delle aree di radicamento di questa teologia, e del suo “diverso vangelo”, gli autori affrontano la ricostruzione storica del movimento: “Se cerchiamo le origini di queste correnti teologiche, le troviamo negli Stati Uniti, dove la maggioranza dei ricercatori della fenomenologia religiosa americana le fanno risalire al pastore new-yorchese Esek William Kenyon (1867-1948). Egli sosteneva che attraverso il potere della fede si possono modificare le concrete realtà materiali. Ma la diretta conclusione di questa convinzione è che la fede può condurre alla ricchezza, alla salute e al benessere, mentre la mancanza di fede porta alla povertà, alla malattia e all’infelicità”. Forse i principali effetti che si possono immaginare sono questi: la conversione nei paesi poveri, nella speranza che l’adesione a queste sette ci renda individualmente felici, senza alcuna preoccupazione o relazione con il nostro contesto. Poi la conversione nei paesi ricchi, per giustificare con la mancanza di fede tanto la povertà che la malattia o l’infelicità di chi rimane escluso. La compassione così diventa ammirazione per chi ha avuto successo e quindi per la way of life americana, che plasmerebbe la religione degli americani. Diventa così più interessante apprendere che il presidente Trump in un suo discorso sullo stato dell’unione ha affermato: “Insieme, stiamo riscoprendo il modo americano di vivere”. Ed ha così proseguito: “In America, sappiamo che la fede e la famiglia, non il governo e la burocrazia, sono il centro della vita americana. Il motto è: ‘Confidiamo in Dio’ (In God we trust). E celebriamo le nostre convinzioni, la nostra polizia, i nostri militari e veterani come eroi che meritano il nostro sostegno totale e costante”. L’annotazione è stringente: “Nel giro di alcune frasi appaiono dunque Dio, l’esercito e il sogno americano”.

La teologia della prosperità, come è facile immaginare, ha fatto perno su molti telepredicatori, titolari di programmi di grande successo, e su libri dai titoli che non lasciano dubbi, come “Cambia i tuoi pensieri e tutto cambierà”. Come gli americani ben sanno questi teologi o telepredicatori hanno un rapporto consolidato con l’inquilino della Casa Bianca, e infatti nel 2015 un gruppo di loro ha pregato per Donald Trump alla Trump Tower, imponendo le mani sul futuro presidente.

L’importanza del benessere economico e della salute fisica nella vita delle persone sembra aver reso questo messaggio dirompente e la forza mediatica di molti teologi della prosperità lo ha portato nelle case di milioni e milioni di persone, inducendo molti esponenti delle altre Chiese protestanti, sia tradizionali sia più recenti, a parlare per l’appunto di un “vangelo diverso”. E effettivamente di qualcosa di molto diverso deve trattarsi, se basta ripetere alcune frasi bibliche per guarire. Miracolismo e individualismo, osservano gli autori, sono dunque nel cuore di questa teologia. Ma nella vita ci sono anche eventi luttuosi, o eventi di enorme gravità, che possono colpire tante persone anche per via di carestie o altri eventi naturali: questo potrebbe determinare un effetto critico per la forza del verbo della teologia della prosperità se ci fosse compassione, che non c’è però. Di contro c’è l’opportunità di ottenere vantaggi economici assai cospicui donando la cifra che si può, visto che si otterrà dieci volte tanto, lo dice il vangelo: “In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà”. Così dunque chi darà dieci dollari ne riceverà cento: e chi darà un milione? Il conto è presto fatto.

Questo pensiero ha conseguenze anche politiche e geopolitiche: l’America del nord ha seguito questa strada ed ha vinto, l’America sotto il Rio Grande ha seguito la strada cattolica ed ha perso, è divenuta misera. Altro che Max Weber e capitalismo dell’austerità evangelica, qui la ricchezza sembra direttamente rapportata alla quantità della fede.

Sin dall’inizio del suo pontificato, evidenziano poi Spadaro e Figueroa, Francesco ha sottolineato i rischi di questo pensiero, richiamandolo espressamente. Per esempio in Corea, dopo aver ricordato come San Paolo critichi le chiese con non fanno sentire i poveri a casa loro, esortando poi a fare attenzione a questa zizzania. Ma quello colpisce, anche per la non sufficiente attenzione che viene riservata al testo dell’omelia quotidiana pronunciata da Francesco a Santa Marta, è leggere quante volte Bergoglio abbia fatto esplicito riferimento alla teologia della prosperità. Si ricorda il 5 maggio del 2015, quando disse che la salvezza non è una teologia della prosperità, ma è un dono, lo stesso dono che Gesù aveva ricevuto per darlo. E il potere del Vangelo è quello di cacciare gli spiriti impuri per liberare, per guarire. Si ricorda ancora il 19 maggio 2016 e altre date, a dimostrazione che quella in oggetto non è una questione lontana o marginale.

San Paolo non deve essere di casa per i teologi della prosperità. Il Dio che da ricco si è fatto povero per rende noi ricchi della sua povertà sembra molto diverso da quello di cui qui si è cercato di rendere brevemente conto grazie alla lettura di un saggio importante non solo per gli studiosi di teologia, ma per chiunque ritenga importante capire cosa sta succedendo intorno a noi.

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