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Quell’incontro con Ivanka, la lotta alla tratta degli esseri umani, le differenze con Salvini. Parla Maria Elena Boschi

“Sulla lotta alla tratta di esseri umani, sicuramente si possono trovare convergenze importanti anche con gli Stati Uniti per impegni comuni”, dice Maria Elena Boschi. L’ex ministr​a​ del governo Renzi e sottosegretari​a​ alla ​p​residenza del Consiglio ​con l’esecutivo Gentiloni​ ha ​raccolto l’invito di Formiche.net ad affrontare un tema delicatissimo cui ha dedicato parte del proprio impegno politico e su cui in questo momento l’amministrazione americana ha spostato importanti asset politici e risorse: lo human trafficking.

Alla fine di giugno, il dipartimento di Stato americano ha diffuso lo studio annuale relativo al traffico di esseri umani. Il Trafficking on Person Report (Tip), come scrive Foggy Bottom​,​ è considerato da Washington come “il principale strumento diplomatico del governo degli Stati Uniti per coinvolgere i governi stranieri sulla tratta di esseri umani”.

Si tratta di un lavoro spinto fortemente da ​Ivanka Trump con la sponda istituzionale del segretario di Stato, Mike Pompeo. L’argomento della tratta di esseri umani era stato già tra quelli affrontati nell’incontro del maggio scorso tra la primogenita del presidente americano e la sottosegretari​a​ Boschi​.​ “Nell’incontro​ – racconta -​ abbiamo avuto modo di toccare diversi temi legati al ruolo della donna e alla tutela dei suoi diritti, ed è vero che Ivanka Trump si è molto interessata, in particolare, al lavoro che nel nostro Paese stavamo conducendo sulla lotta alla tratta di esseri umani”.

“Ricordo – continua -​ che rimase molto colpita dal piano nazionale anti tratta, approvato per la prima volta dal governo Renzi, con cui si prevedeva una strategia complessiva. Dal riconoscimento delle vittime al momento dello sbarco in Italia, all’assistenza medica e psicologica, fino ai progetti di istruzione e formazione professionale. Nel nostro Paese la lotta alla tratta non è stato semplicemente uno slogan, ma un impegno concreto dei governi Pd”, aggiunge ​con una punta di orgoglio.

​Il pensiero non può non correre all’attualità del dibattito politico italiano. Il vice premier Matteo Salvini sta affrontando la questione dell’immigrazione usandola anche come proxy elettorale del governo, ma per il momento la strada intrapresa sembra più che altro la conferma di strategie precedenti, come per esempio l’impegno in Niger (rilanciato dalla ministro della Difesa Elisabetta Trenta e deciso dal governo Gentiloni di cui lei era parte, proprio nell’ottica operativa del contrasto allo human trafficking).

Ora, che cosa deve fare l’Italia? “Il nostro Paese ​- risponde Boschi – ​deve di sicuro proseguire quel lavoro complesso e faticoso che abbiamo portato avanti negli ultimi anni e per il quale adesso siamo una best practice da prendere da esempio. Anche nel corso della ministeriale di Taormina sulle pari opportunità, gli altri Paesi G7, e non solo gli Stati Uniti, hanno riconosciuto l’impegno straordinario dell’Italia”.
“Quindi, bene la conferma dell’impegno in Niger, ma non basta”, precisa ​la deputata del Pd. “Occorre aumentare la cooperazione giudiziaria ed investigativa a livello internazionale per colpire le organizzazioni criminali, guidate da veri e propri schiavisti. Ed è necessario soprattutto mettere al primo posto la tutela delle vittime, con la consapevolezza che occorrono risorse per seguirle in percorsi molto lunghi nel tempo (solitamente servono almeno 3/4 anni per completare il reinserimento in una vita, diciamo così, normale, con una autonomia abitativa e lavorativa)”.

E la linea tenuta dal governo attuale? “Sicuramente, non possiamo consentire rimpatri forzati nei confronti di vittime di tratta, condannandole nella stragrande maggioranza dei casi a rivivere lo stesso tipo di abusi e violenze anche nei luoghi di origine. Il vice premier Salvini dovrebbe, per prima cosa, parlare con le ragazze che arrivano in Italia, per esempio, e ascoltare le loro storie direttamente nei centri anti tratta, così forse smetterebbe di andare avanti per luoghi comuni”. Soprattutto, aggiunge, “mi auguro che il nuovo governo italiano non tagli i fondi stanziati dai nostri esecutivi per il piano anti tratta”​.​

​U​na cifra che supera i 23 milioni di euro all’anno. Un aspetto piuttosto interessante del lavoro interno all’amministrazione americana è quello che potremmo definire “doppio binario”: in questo caso abbiamo per esempio da una parte le urla del presidente Donald Trump durante i continui rally elettorali, il Muro, le gabbie con i bambini, il volto duro della Ice; dall’altro commitment come quelli sul Tip, commentati dal segretario Pompeo (un falco che in questo momento ci troviamo a descrivere come una colomba, visto il contesto) che parla di “impegno del governo degli Stati Uniti nei confronti della leadership mondiale su questo importante problema dei diritti umani e delle forze dell’ordine”.

È una dichiarazione globalista che sembra non fare rima ​con il nazionalismo semi-isolazionista trumpiano​. Si tratta​ ​però di una dimensione necessaria​ anche​ per ​gli Usa. ​E in Italia? Quale deve essere in questo momento il ruolo di Roma​:​ la politica del “chiudiamo i porti”? ​Maria Elena Boschi non ha dubbi. ​”La scelta dell’amministrazione Trump di dividere le famiglie dei disperati che varcano il confine statunitense, la creazione di gabbie per migranti, sono cose inaccettabili. Non c’è niente di più inumano che separare una madre dal proprio figlio. E, a maggior ragione, dovremmo saperlo noi che in America, anni addietro, abbiamo trovato la speranza di un futuro diverso ma abbiamo anche vissuto la condizione difficile dell’emigrato”.

“Non è un caso – spiega – ​se le politiche sulla immigrazione del presidente Trump hanno suscitato la reazione spontanea e indignata di gran parte delle società civile, mobilitando anche volti conosciuti a livello internazionale. Gli Usa non possono trasformarsi da patria della libertà e delle opportunità, a Paese della paura e della segregazione”.

“Per quanto riguarda il nostro Paese, ‘Chiudiamo i porti’ è uno slogan che funziona in campagna elettorale o per avere qualche like in più sui social, ma non risolve nel medio-lungo periodo il problema. Chiudere i porti alle ong non impedisce il flusso dei migranti. Può forse rallentarlo in una prima fase, ma poi avviene una riorganizzazione delle modalità di accesso e le persone disperate continuano ad arrivare, perché le persone che nei propri Paesi rischiano la vita per le guerre, le violenze, la fame non smetteranno di provare a raggiungere l’Europa”.

Del resto, i porti non possono essere chiusi alla nostra Marina o alla Capitaneria di Porto, che continueranno a rispondere a richieste di aiuto in mare, come sono tenuti a fare, spiega. “La speranza di potercela fare è più forte della certezza di quello che devono affrontare nei loro Paesi queste persone. Quando una ragazza di 16 anni ti racconta, come è successo a me, di come si sia messa in viaggio dalla Nigeria pur sapendo che avrebbe rischiato violenze e abusi sessuali durante il viaggio, capisci che non è minacciandoli che li fermerai”.

E dunque serve un’altra strategia ampia. “È per questo che occorre disincentivare le partenze, come hanno fatto i governi Pd, investendo nella cooperazione internazionale. Creando nei loro Paesi condizioni migliori. Del resto, nell’ultimo anno i flussi dalla Libia sono scesi dell’80 per cento. Servono accordi di rimpatri con i singoli Paesi di origine, ma soprattutto un vero negoziato in Europa”.

Ecco, appunto: l’Europa, spesso al centro della discussione in questi giorni. “La redistribuzione tra i Paesi – ci dice l’ex ministra e sottosegretaria -​ dovrebbe essere obbligatoria e non facoltativa. Su questo purtroppo il governo di Salvini ha fatto grossi passi indietro all’ultimo Consiglio europeo. Succede quando decidi di allearti con l’Ungheria di Orban anziché con i Paesi del mediterraneo. Essere isolati in Europa non porta ad alcun risultato per l’Italia”.

Il rischio, aggiunge con sarcasmo Meb, è che si urli in casa “prima gli italiani” e si consenta che in Europa prevalga il “prima gli ungheresi”.

​Torniamo ad alleanze e partnership, allora. Il governo degli Stati Uniti dice di voler utilizzare il rapporto Tip per coinvolgere i governi stranieri nei dialoghi, per far avanzare le riforme anti-tratta in modo combattivo e indirizzare le risorse su programmi di prevenzione, protezione e perseguimento. Pensa che questo del traffico degli esseri umani, visto soprattutto le problematiche dirette legate alla rotta mediterranea, possa essere anche uno spazio in cui l’Italia può costruirsi uno standing internazionale​?​ “Ripeto​:​ l’Italia deve rafforzare gli impegni profusi fino a qui, puntando non solo sulla repressione dei reati, ma anche sulla assistenza alle vittime. Su campagne di comunicazione efficaci per consentire di sensibilizzare le persone sulla necessità di denunciare. E non penso solo alle vittime, ma anche ai molti italiani che assistono allo sfruttamento di queste ragazze (se non ne diventano addirittura complici in alcuni casi) senza denunciarlo”.
L’Italia, dunque, può sfruttare l’argomento come leva per la sua politica estera? “Certo, già con il G​7 di Taormina abbiamo iniziato un percorso di sensibilizzazione anche a livello internazionale, che si aggiunge a quello che portiamo avanti in sede europea e in ambito Onu”.

“Quell’incontro con Ivanka Trump era andato proprio in questa direzione: sulla battaglia contro lo human trafficking possiamo trovare quel terreno comune che è più difficile individuare con l’amministrazione Trump su altre problematiche legate alla immigrazione”, racconta​ Boschi. “Del resto, lo stesso impegno in prima persona di Ivanka lascia immaginare che l’amministrazione Trump voglia spendersi veramente contro questo dramma. Spero solo che il nuovo governo giallo verde, in nome della propaganda interna, non faccia gravi passi indietro in ambito internazionale anche sula lotta alla tratta​ degli esseri umani​”.

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