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Perché Salvini non vuole spezzare l’Europa, ma ricostruirla. Parla Stefano Bruno Galli

Nessun tradimento della Lega del passato, nessun abbandono del federalismo a favore di un progetto nazionalista e una presa d’atto che questa Europa, così come si presenta ora, deve essere cambiata anche radicalmente. Il professore di Storia delle dottrine Politiche e Teorie e storia della democrazia e assessore all’Autonomia e cultura nella Regione Lombardia guidata da Attilio Fontana, Stefano Bruno Galli non ha dubbi sulla leadership politica di Matteo Salvini: “Da politologo, posso dire che i numeri contano e Matteo Salvini ha portato la Lega a un numero di consensi che nessun altro segretario era riuscito a raggiungere”.

Poco importa, allora, se il fondatore della Lega Nord, il Senatur, abbia criticato la Lega salviniana dalle pagine del Corriere della Sera, sottolineando che i cittadini chiedono risposte ai problemi, i polveroni e le polemiche dopo un po’ stancano: “Se tutti i giorni fai una promessa e sollevi polveroni qualcuno finisci per tirarlo dalla tua parte – ha detto Bossi -. Ma i cittadini mica sono stupidi. Oggi ti votano, domani ti voltano le spalle se non mantieni tutte le promesse che hai elargito”.

Professore, la Lega di Salvini sta perdendo la sua impronta originaria?

Trovo davvero discutibili le categorie interpretative alle quali ricorrono tanti osservatori per analizzare il fenomeno della politica, che è un fenomeno molto complesso. Guardiamo anzitutto i numeri: Salvini il 4 marzo ha preso il 17% e ora veleggia intorno al 30%. Se la politica si fa con i numeri, questo è il risultato, non c’è partita. Eppoi, non vorrei fare il provocatore, ma Salvini governa in Lombardia e in Veneto, in Friuli, in Liguria e, da pochi giorni in Valle d’Aosta. In autunno si voterà per la provincia autonoma di Trento, e la partita è molto aperta stando ai risultati delle ultime elezioni politiche. Fugatti (Maurizio, deputato e sottosegretario al ministero della Salute, ndr) potrebbe essere il primo presidente di centrodestra della provincia di Trento. Non solo, ma la vittoria è possibile, direi probabile, anche in Piemonte e in Emilia-Romagna. E allora, come la mettiamo? Salvini, il “traditore sovranista”, come viene definito dai suoi detrattori, è nelle condizioni di realizzare davvero la macroregione del Nord, in meno di due anni, nel solco di Gianfranco Miglio.

Eppure è stato criticato fortemente anche dal fondatore della Lega, Bossi…

Non entro nel merito delle polemiche personali. Rilevo solo che, per trent’anni, la parola d’ordine era “Roma ladrona”, ma l’unico che ha tenuto per le palle, e mi scusi per l’espressione un po’ forte, i poteri romani è Salvini. Anche qui: Salvini “traditore sovranista”? Al contrario, è colui che ha tenuto veramente in scacco i poteri romani durante la composizione del governo finché non è riuscito a fare quello che voleva. Ma vorrei aggiungere un’altra riflessione.

Sì, prego.

Ci sono 15 regioni a Statuto ordinario. Tutte hanno l’assessorato allo Sport e quello al Bilancio, l’assessorato alla Cultura e quello all’Ambiente. Una sola ha l’assessorato all’Autonomia, la Lombadia, regione di Matteo Salvini, che quindi ci tiene davvero. E l’assessore all’Autonomia è il sottoscritto. Dopo il 22 ottobre scorso, quando s’è svolto il referendum consultivo territoriale per l’autonomia della Lombardia e del Veneto, il vento è cambiato. Stiamo scrivendo una nuova pagina della storia del regionalismo italiano, quella del regionalismo differenziato, che comporta il riconoscimento di maggiori margini di autonomia alle regioni a statuto ordinario, in relazione alla loro storia, cultura, tradizioni, capacità amministrativa, economico-produttiva e fiscale, rendimento istituzionale. Il nostro referendum ha innescato un effetto-domino: dopo di noi e il Veneto si sono sedute al tavolo delle trattative con il governo anche l’Emilia Romagna e la Liguria. E fermenti autonomisti si registrano in Piemonte, in Toscana e in Puglia. Insomma, la federoregionalizzazione del Paese, cioè la costruzione di un modello autonomista di ispirazione federale su base regionale, come voleva Gianfranco Miglio, è davvero a portata di mano. Anche qui: come la mettiamo?

Passiamo, invece, al progetto della Lega delle Leghe. Qualcuno dice abbia l’obiettivo di scardinare l’Europa…

Se è così, vivaddio. I padri fondatori, De Gasperi, Adenauer, Schumann, di fronte a questa Europa girano come le trottole nelle loro tombe. Non era questa l’Europa che avevano in mente subito dopo il secondo conflitto mondiale, ma un’Europa più politica, che facesse leva virtuosa sulle ragioni dello stare insieme dei popoli europei, e non fosse condizionata dai poteri tecnocratici e burocratici di Bruxelles. Se salta il banco della dittatura tecnocratica di Bruxelles, si apre lo spazio per la costruzione dell’Europa federale dei Popoli, basta leggere qualche pagina di un grande europeista e parimenti grande federalista, Denis de Rougemont. Questa Unione europea ha una Costituzione di 483 articoli. È assurdo, perché le costituzioni, almeno così ci insegna la storia del costituzionalismo, solitamente hanno pochi articoli, al massimo un centinaio, perché mettono a fuoco i valori comuni, le ragioni dello stare insieme. Per quale ragione, invece, è così prolissa? Perché proprio sui principi non si è riusciti a raggiungere un accordo. Non si ricorda del logorante dibattito sulle radici cristiane dell’Europa? Un dibattito presto abbandonato perché non si riusciva a trovare una convergenza, quando è chiaro a tutti il convoglio semantico-valoriale e fondativo Europa-Cristianità-Occidente.

Quindi l’obiettivo di Salvini è portare più politica in Europa?

L’obiettivo credo sia quello di ri-formarla, cioè dare all’Ue una nuova forma, ricostruirla su nuove basi. Ma con i mattoni vecchi non si costruiscono le case nuove.

Non c’è il rischio, però, di una svolta troppo nazionalista?

Che questo Paese debba contare di più in Europa e non accettare supinamente tutto quello che arriva da Bruxelles è un dato di fatto. Poi che sul piano interno si possa istituzionalmente organizzare come vuole e come crede è un’altra questione. Ovviamente il mio auspicio è che si affermi un modello istituzionale federoregionalista, fondato sull’autonomia politica e amministrativa dei territori, nel quadro di un’Europa dei popoli. Questo è l’obiettivo, dopo il referendum del 22 ottobre scorso.

Non c’è il rischio che con una tale prova di forza l’Europa si spezzi, come sta succedendo con Schengen?

Se la ricostruzione dell’Europa passa da una rinegoziazione di Schengen, non v’è alcun dubbio: bisogna andare in quella direzione. Quando Salvini, negando l’approdo delle navi e dichiarando guerra alle Ong, ha scaricato sull’Europa il problema dell’immigrazione, che è e deve essere una questione europea, ha fatto un atto sacrosanto.

C’è chi ha sottolineato, però, un problema di diritti umani. Una trattativa fatta sulla pelle dei migranti che rischiano la vita in mare.

Su questo tema vanno fatti due ragionamenti: primo, le Ong se lei guarda le rotte vanno fino a 15 miglia dalla costa tunisina o libica per prendere gli immigrati. Non arrivano stremati oltre le acque territoriali. Basta osservare le rotte tracciate dai satelliti. Secondo aspetto: dopo aver negato l’accesso ai porti, la nave Aquarius non è stata abbandonata a se stessa ma è stata scortata dalle navi della Marina Militare. Non è stata abbandonata alla deriva in mezzo al Mediterraneo. Anche questa vicenda è stata esasperata più del dovuto. Guardi, a me piace tanto un intellettuale, esponente della tradizione etico-civile sudtirolese, Claus Gatterer. Lui sosteneva che non bisogna mai guardare la realtà con un occhio solo, ma bisogna adoperarli tutti e due.

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