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Salvini come Satana. Famiglia Cristiana choc (ma non sorprende)

Più che a un dibattito aperto, a voler essere distaccati, assomiglia a qualcosa che si avvicina a un attacco di isteria collettiva, visto il montare dei toni. Il tema dell’immigrazione continua infatti a dividere tanto lo scontro politico quanto il rapporto tra la Chiesa e il governo, e persino le posizioni e le simpatie all’interno della stessa comunità cattolica. Se si considera che alle ultime elezioni l’elettorato cattolico si è espresso in maniera perfettamente sovrapponibile a quanti, pur recandosi comunque alle urne, non si identificano nella Chiesa di Roma, la tendenza è pressoché prevedibile.

Ma la prima pagina apparsa in rete e che uscirà domani in edicola sul settimanale Famiglia Cristiana, la storica e prestigiosa rivista della San Paolo che tradizionalmente si immagina subito a fianco dell’entrata di molte delle Chiese italiane, ma che negli ultimi anni ha visto giornalisti in sciopero e digiuno in segno di protesta contro i vertici aziendali, è difficile da fare passare inosservata. “Vade retro Salvini“, è il titolo a caratteri cubitali, con “una mano che si leva verso il volto di uno sconcertato ministro degli Interni”, come racconta sul sito la stessa testata. Un attacco diretto al titolare del Viminale sul tema dell’immigrazione, senza veli o mezze misure, tirando in ballo niente meno che il Diavolo, che per un giornale di ispirazione cristiana può sembrare più che una boutade. “Niente di personale o ideologico”, viene scritto ancora nel sommario, “si tratta di Vangelo”. La risposta del vicepremier Matteo Salvini, a caldo, è stata: “L’accostamento a Satana mi sembra di pessimo gusto. Io non pretendo di dare lezioni a nessuno, sono l’ultimo dei buoni cristiani, ma non penso di meritare tanto”.

L’offerta di un punto di vista di tale fattura tuttavia non rappresenta una novità, e il tono duro con una vena di paradossalità viene usato per ripercorrere, all’interno delle pagine del settimanale cartaceo, tutte le posizioni assunte da alti prelati cattolici sul tema dell’immigrazione negli ultimi tempi: dall’arcivescovo di Milano Mario Delpini a quello di Bologna Matteo Zuppi, da quello di Palermo Corrado Lorefice a quello di Torino Cesare Nosiglia, finendo con il delegato per le migrazioni della Conferenza episcopale siciliana e vescovo di Noto Antonio Staglianò, con l’arcivescovo di Agrigento Francesco Montenegro, e ovviamente con il presidente della Cei Gualtiero Bassetti, nei giorni scorsi firmatario di una nota in cui si afferma che “come Pastori della Chiesa non pretendiamo di offrire soluzioni a buon mercato” ma che “animati dal Vangelo di Gesù Cristo continuiamo a prestare la nostra voce a chi ne è privo” e che “avvertiamo in maniera inequivocabile che la via per salvare la nostra stessa umanità dalla volgarità e dall’imbarbarimento passa dall’impegno a custodire la vita”, “ogni vita”, “a partire da quella più esposta, umiliata e calpestata”.

Si avverte come ancora più dura invece la posizione di monsignor Raffaele Nogaro, vescovo emerito di Caserta, che bolla addirittura la condizione di vedere “cristiani che pendono dalla bocca di Salvini” come la presenza “davanti all’anticristo”. Non è invece nuova la presa di posizione netta del direttore della rivista La Civiltà Cattolica Antonio Spadaro, già in passato al centro delle discussioni internazionali per avere attaccato il presidente americano Donald Trump parlando di “fondamentalismo evangelico” e di “ecumenismo dell’odio”, prefigurando una sorta di manicheismo terreno e ideologico che nulla ha che fare con le logiche evangeliche, e che stavolta su Twitter scrive, senza inibizioni: “Usare il crocifisso come un BigJim qualunque è blasfemo. La croce è segno di protesta contro peccato, violenza, ingiustizia e morte. Non è MAI un segno identitario. Grida l’amore al nemico e l’accoglienza incondizionata. È l’abbraccio di Dio senza difese. Giù le mani!”.

Spadaro in questo caso tira in causa anche il tema della discussione sul crocifisso nelle aule, scatenata nelle ultime ora dalla proposta del leader leghista di rendere obbligatoria l’esposizione del crocifisso nelle scuole e persino nei porti, con una proposta di legge depositata alla Camera a firma Barbara Saltamartini. Ma che fa sicuramente altresì il paio, sempre per restare sull’attualità politica, con l’emergere della figura di Gian Carlo Blangiardo a candidato numero uno alla presidenza dell’Istat, demografo e esperto di immigrazione apertamente avversario delle posizioni pro-accoglienza. C’è infatti anche un’altra fazione ormai apertamente visibile, sul tema dei migranti, che riprende per l’appunto quella che è la direzione del voto cattolico su molte tematiche, comprese perciò inevitabilmente quelle dell’accoglienza su cui la Chiesa, a partire dagli organi dirigenti religiosi e laici, ma non solo, si spende in maniera decisa. Come dimostra anche un articolo apparso nei giorni scorsi sul quotidiano dei vescovi Avvenire in cui si spiega, in maniera dettagliata e esaustiva, “cosa fa la Chiesa italiana per i migranti“, rispondendo in questo modo alle tesi critiche che imputano un profuso impegno nel “predicare bene” ma un presunto minore coinvolgimento nell’applicarsi in prima persona.

Una della lettere che ha più colpito l’opinione pubblica è infatti stata, nei giorni scorsi, quella del Vescovo di Ventimiglia – San Remo Antonio Suetta, prelato che, vista la posizione della diocesi da lui guidata, in questi ultimi anni di crisi dell’immigrazione ha vissuto in prima persona i drammi umani di giovani africani ammassati sulle coste del confine italo-francese privi di occupazione, della possibilità di impegnarsi o di varcare la frontiere, e spesso senza nemmeno più speranze. Monsignor Suetta infatti, rispondendo alla lettera aperta firmata da 93 esponenti cattolici di varia estrazione e indirizzata ai vescovi italiani su “razzismo e politica”, sostiene che “occorre anche impegnarsi, forse più di quanto non sia stato fatto, per garantire ai popoli la possibilità di non emigrare, di vivere nella propria terra e di offrire là dove si è nati il proprio contributo al miglioramento sociale”, visto che “la separazione e lo smembramento delle famiglie dovuto all’emigrazione rappresenta un grave problema per il tessuto sociale, morale e umano dei Paesi d’origine”, “un grande depauperamento per l’Africa”.

Il tutto prendendo in considerazione che “di fronte a situazioni complesse di carattere politico e sociale, spesso i fedeli possono assumere legittime e diversificate iniziative, trovando sempre però nel Vangelo e nell’insegnamento sociale della Chiesa i principi ispiratori della loro azione e della loro scelta politica”, e che “possono divergere, senza però pretendere di agire a nome della Chiesa”, spiega il religioso. La tesi di monsignor Suetta infatti, oltre a esserne in linea, cerca di considerare quella espressa da diversi vescovi africani, come l’arcivescovo di Dakar monsignor Benjamin Ndiaye, il vescovo nigeriano di Kafachan Joseph Bagobiri, o il vescovo di Oyo, sempre in Nigeria, monsignor Jilius Adelakan, in cui invitano i giovani africani a “restare in Africa e creare ricchezza”. “Non abbiamo il diritto di lasciare che esistano canali di emigrazione illegale quando sappiamo benissimo come funzionano, tutto questo deve finire”, ha affermato l’arcivescovo di Dakar: “Meglio restare poveri nel proprio paese, piuttosto che finire torturati nel tentare l’avventura dell’emigrazione”.

Lo stesso vescovo di Ventimiglia Suetta, nella chiosa del suo articolo, cita le parole del vescovo kirghiso Athanasius Schneider, prelato spesso apertamente critico su questioni come l’esortazione apostolica sulla famiglia Amoris Laetitia, e che, intervistato dal Giornale, ha affermato con chiarezza che dal suo punto di vista “dietro i migranti c’è un piano per cambiare i popoli europei”, ovvero un piano per “islamizzare l’Europa”. Posizione molto in linea con le idee dell’universo leghista, di natura anti-europeista e tendenzialmente diffidenti o critici nei confronti della globalizzazione, e del tutto sposate dal vescovo di Ventimiglia. Che di suo aggiunge, in conclusione, che “oggi non è in atto una guerra tra religioni, ma dobbiamo riconoscere che è in atto una ‘guerra’ contro le religioni e contro il riferimento a Dio nella vita dell’uomo”.

Altra posizione in prima linea, distaccata da un approccio acritico pro o contro, è quella del sacerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII don Aldo Buonaiuto (qui intervistato da Formiche dopo un retweet dello stesso ministro Salvini a un suo articolo) che subito dopo l’iniziativa delle “magliette rosse”, promossa da don Luigi Ciotti di Libera, scriveva sul quotidiano on-line InTerris da lui edito: “In questi giorni vediamo sbandierare e denunciare una certa disumanità “partigiana” (nel senso di chi si schiera da una determinata parte)”, e che “è bello, per un Paese democratico, osservare la mobilitazione di tante personalità e realtà sociali, anche cattoliche, e l’indignazione dinanzi ai morti nel mare, così come vedere i cristiani solidali e attenti verso i più deboli e indifesi”.

Ma, aggiungeva il sacerdote, “fa comunque un certo effetto assistere al risveglio di alcune persone che, in nome dei profughi, inveiscono contro la politica del nuovo Governo; è strano ascoltare epiteti violenti e grida di ogni genere per affermare verità o comunque concetti pur legittimi ma esternati con una ferocia e un linguaggio così rabbioso che stride con il presunto obiettivo che si vorrebbe raggiungere. Un rancore talmente evidente che rischia di rendere poco credibile – se non contraddittoria – la volontà espressa di richiamarsi ai valori evangelici e farne la base delle proprie rivendicazioni”. Insomma, se quella che si è scatenata non sarà ancora una vera e propria burrasca, di sicuro le acque non sono calme.

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