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La furia di Trump (e di Pompeo) contro l’Iran. Così sale la tensione

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Volano parole grosse tra gli Stati Uniti e l’Iran. Lo scambio di minacce e dichiarazioni al vetriolo avvenuto ieri, protagonisti i due presidenti Donald Trump e Hassan Rouhani più il Segretario di Stato Mike Pompeo, è il più pesante degli ultimi tempi. Denota, al tempo stesso, il nervosismo della Repubblica islamica, su cui incombono le sanzioni varate dagli Usa che porranno fine pressoché interamente al suo export petrolifero, e la determinazione dell’America di piegare la recalcitrante Teheran.

Ieri mattina, ricevendo alcuni diplomatici, Rouhani aveva esortato gli Stati Uniti a “non giocare con la coda del leone, perché ve ne pentirete per l’eternità”. Quindi, l’affondo: “l’America dovrebbe sapere che la pace con l’Iran è la madre di tutte le paci, e la guerra con l’Iran è la madre di tutte le guerre”.

Parole di fuoco, che si ricollegano alla minaccia, formulata più volte e rinnovata questi weekend, di chiudere lo Stretto di Hormuz al passaggio delle petroliere del Golfo: una mossa che strangolerebbe le esportazioni energetiche della regione ma che innescherebbe sicuramente una dura reazione militare degli Stati Uniti.

L’Iran gioca col fuoco, ma non rinuncia a combattere: “Siamo stati i garanti della sicurezza delle vie marittime regionali per tutta la storia”, afferma Rouhani, parlando ancora dello Stretto di Hormuz. Come dire: se gli Stati Uniti decidessero sul serio di porre sotto embargo l’Iran, questo è pronto a prendere i più duri provvedimenti le cui conseguenze sarebbero pagate da tutti gli alleati americani che si affacciano su quello che loro chiamano Mare Arabico e gli iraniani Golfo Persico.

La possibilità che Teheran ricorra alla chiusura dello Stretto di Hormuz galvanizza l’establishment della Repubblica islamica. Sabato era stata la stessa Guida Suprema Ali Khamenei a offrire il proprio beneplacito, e ieri, dopo il discorso di Rouhani, è arrivata a rinforzo la dichiarazione di un importante esponente delle forze armate. Come ha riportato l’agenzia semi-ufficiale Tasnim, il general Kioumars Heydari, comandante delle truppe di terra, ha detto che lo stretto di Hormuz “deve essere o sicuro per tutti o insicuro per chiunque”.

Mentre queste parole venivano pronunciate in Iran, Donald Trump stava trascorrendo una serena domenica nel suo campo di golf a Bedminister, nel New Jersey. Durante la giornata, è stato senz’altro informato delle dichiarazioni bellicose degli iraniani. Così la sera, facendo ritorno alla Casa Bianca, ha aperto il suo profilo Twitter e fatto ricorso a un abbondante uso di lettere maiuscole:

“Al presidente iraniano Rouhani: NON MINACCIARE MAI, MAI PIU’ ANCORA GLI STATI UNITI O SOFFRIRETE CONSEGUENZE COME POCHI DI VOI NELLA STORIA HANNO MAI SOFFERTO PRIMA. NON SIAMO PIU’ UN PAESE CHE SOPPORTERA’ LE VOSTRE FOLLI PAROLE DI VIOLENZA E MORTE. SIATE CAUTI!

La decisione americana dell’8 maggio scorso di ritirarsi dal patto nucleare con l’Iran (Jcpoa) ha inaugurato una stagione di tensioni bilaterali, tanto più significative in quanto accesesi dopo gli anni di tregua dell’era Obama, principale sponsor del Jcpoa. La strategia della “massima pressione” predisposta dall’amministrazione Trump prevede che l’Iran, sotto la scure delle sanzioni, si pieghi ai diktat degli Stati Uniti, enunciati a maggio in un discorso del Segretario di Stato Mike Pompeo che ha presentato – sotto forma di ultimatum – undici condizioni agli ayatollah. Tra queste, la rinegoziazione del patto sul nucleare ma stavolta senza una data di scadenza, la cessazione del programma balistico, la fine delle ingerenze nei paesi limitrofi come Libano e Iraq e nei conflitti regionali come Siria e Yemen. Una capitolazione, insomma, rispetto alle ambizioni imperialistiche di una Repubblica Islamica che non ha mai smesso di sognare l’egemonia sul Medio Oriente.

E ieri è stato proprio Pompeo, in un discorso alla Biblioteca Museo Ronald Reagan a Silim Valley in California, a tornare all’attacco. Davanti ad una platea affollata di esuli iraniani, parte dei quali riparati nel Golden State dopo la rivoluzione del 1979, l’ex capo della Cia ha sfoderato il suo migliore armamentario retorico per mettere l’Iran sull’avviso e confermare la linea dura degli Stati Uniti nei confronti degli ayatollah.

Pompeo ha anzitutto preso di mira gli alti papaveri del regime, persone che si curano più degli interessi personali che di quelli del popolo. “Il livello di corruzione e ricchezza tra i leader del regime”, ha sottolineato Pompeo”, dimostra che l’Iran è gestito da un sistema che ricorda più la mafia che un governo”. A titolo esemplificativo, il Segretario di Stato ha ricordato che Khamenei ha nelle proprie disponibilità un hedge fund di 95 miliardi di dollari non contabilizzato in alcun bilancio, immune dalle tasse e usato disinvoltamente per finanziare le avventure militari dei Guardiani della Rivoluzione. Tra gli altri casi citati da Pompeo c’è quello del grande ayatollah Nasser Makarem Shirazi, che può contare su una ricchezza personale di cento milioni di dollari frutto del suo commercio illegale di zucchero, e dell’ayatollah Mohammad Emami Kashani, altro personaggio che ha fatto milioni di dollari dopo che il governo ha intestato alla sua fondazione varie miniere. “Questi uomini santi ipocriti”, ha concluso Pompeo, “hanno immaginato tutti i tipi di schemi corrotti per entrare nel novero degli uomini più ricchi del pianeta mentre il loro popolo soffre”.

Pompeo esorta inoltre la comunità internazionale a non farsi ingannare dai “moderati” della Repubblica islamica, che in questo momento stanno tentando di inserire un cuneo tra gli Stati Uniti e gli altri Paesi del mondo, europei in primis. “Gli obiettivi rivoluzionari del regime e la sua volontà di commettere atti violenti non hanno prodotto nessuno alla guida dell’Iran che possa essere remotamente definito un moderato. Qualcuno crede che il presidente Rouhani e il ministro degli Esteri Zarif lo siano. La verità è che sono persone lucidate dall’arte internazionale del raggiro degli ayatollah. (…) Questi cosiddetti moderati sono ancora violenti rivoluzionari islamici con un’agenda antiamericana e anti-Occidentale”

La resa dei conti è vicina, è il messaggio di Pompeo. Che invita la comunità internazionale ad unirsi agli Usa nello sforzo di isolare, contenere e alla fine piegare la Repubblica islamica. “Proprio ora, gli Stati Uniti si stanno impegnando in una campagna di pressione diplomatica e finanziaria per tagliare tutti i fondi che il regime usa per arricchirsi e realizzare morte e distruzione. Chiediamo a tutte le nazioni che sono stanche e stufe del comportamento distruttivo della Repubblica (islamica) di unirsi alla nostra campagna di pressione- (…) Questo vale soprattutto per i nostri alleati in Medio Oriente ed Europa, persone che si sono dette esse stesse terrorizzate per decenni dalla violenta attività del regime”.

La strategia della massima pressione che gli Usa eserciteranno nei confronti dell’Iran si impernierà anche sul tentativo di delegittimare dall’interno il regime. Una politica di regime change che, se non rappresenta una novità assoluta, sotto l’egida dell’amministrazione Trump riceverà nuovo impulso. Pompeo ha evidenziato ai presenti gli sforzi che l’America sta conducendo per aprire un varco nella censura mediatica iraniana. Ha dichiarato che l’Us Broadcasting Board of Governors ha lanciato una serie di iniziative per permettere agli iraniani di accedere ad internet aggirando la censura del regime e che sta per prendere vita un nuovo canale multimediale in lingua Farsi che trasmetterà 24 ore su 24 usando la tecnologia video, radio, digitale e i social media “così che gli iraniani ordinari dentro e fuori l’Iran”, ha detto Pompeo, “possano sapere che l’America sta dalla loro parte”:

“L’obiettivo dei nostri sforzi”, ha concluso il Segretario di Stato davanti alla folla osannante, “è di vedere un giorno gli iraniani godere della stessa qualità della vita di cui godono gli iraniani in America”. Perché ciò accada, probabilmente, ci vorrà una rivoluzione. Che, se gli eventi subissero una rapida accelerazione, cadrebbe proprio nel quarantesimo anniversario della fondazione della Repubblica Islamica. Una ricorrenza che gli americani vorrebbero risparmiare ai tanti iraniani che del regime non ne possono più.

D’altra parte l’Iran non ha tardato a rispondere per le righe, affermando, attraverso le parole del capo della Giustizia, che ogni mossa illogica e poco saggia degli Usa “porterà a una risposta indimenticabile dell’Iran che rimarrà nella storia”. E ha poi continuato, rincarando la dose: “Le affermazioni di Donald Trump sono state fatte da una persona incapace e stupida come lui, ma deve sapere che nella storia tutti i Faraoni hanno avuto questo illogico orgoglio, aspettandosi di essere idolatrati da tutti”.

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