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Che cosa cova davvero sotto il fuoco delle tensioni tra Usa e Germania al Summit dell’Alleanza atlantica

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​Si scrive Nato, ma si legge surplus. Per comprendere appieno i messaggi tutt’altro che concilianti che il presidente americano Donald Trump ha nuovamente rivolto alla Germania, stavolta dal summit Nato in corso oggi e domani a Bruxelles, bisogna guardare all’economia più che alla difesa.

LA TENSIONE AL SUMMIT NATO

Mentre la ministra della Difesa tedesca Ursula von der Leyen parlava in un evento parallelo al vertice – il The Brussels Summit forum, partecipato da circa 400 esperti e rappresentanti dei mondi diplomatico, militare, e politico -, le agenzie hanno iniziato a battere la notizia delle parole rivolte a Berlino dall’inquilino della Casa Bianca durante un bilaterale con il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, tenuto poco prima dell’inizio del summit.

L’AFFONDO SUL BURDEN SHARING

“La Germania è prigioniera della Russia sull’energia e poi noi dovremmo proteggerla dalla Russia, ce lo spieghi. Ci sono Paesi come la Polonia – ha aggiunto Trump – che invece non accetterebbero il gas russo perché sarebbero prigionieri della Russia”. Poi l’ulteriore affondo, stavolta sul discusso tema del burden sharing, ovvero la distribuzione del contributo economico per sostenere l’Alleanza fissato al 2% del Pil di ogni Paese aderente, ma che davvero in pochi rispettano. Nemmeno i virtuosi tedeschi. “La Germania è un Paese ricco”, che – , ha sottolineato il capo di Stato americano – “potrebbe aumentare (la spesa nella difesa) immediatamente domani e non ha problemi”.

LA DIFESA DELLA GERMANIA

Pur in un contesto meno istituzionale, la von der Leyen ha subito replicato smorzando i toni trumpiani, ma spiegando che “non basta limitarsi a guardare” il famoso 2%. Dal punto di vista tedesco ci sarebbe bisogno di vedere nel dettaglio chi contribuisce a fare cosa nella Nato, ad esempio missioni e operazioni, ambiti in cui la Germania ritiene di essere più che presente. “Puoi spendere il 2% e non contribuire affatto”, ha detto polemicamente il ministro della Difesa, rivendicando un aumento costante degli investimenti nel settore che porterà a spendere “l’1,5% del Pil entro nel 2024”.

IL CLIMA A BRUXELLES

Come spesso accade, manco a dirlo le dichiarazioni di Trump hanno acceso, ancor prima dell’apertura, un vertice che aveva già tutti gli elementi per essere al centro dell’agenda politica e mediatica. Già ieri, il capo di Stato americano aveva postato due tweet che delineavano in modo chiaro il suo pensiero, peraltro già noto. Uno di questi riguardava le spese in difesa degli alleati Nato, ritenute appunto insufficienti. L’altro, invece, si concentrava proprio su questioni commerciali. “L’Unione europea rende impossibile per i nostri agricoltori, i nostri lavoratori e le nostre aziende fare affari in Europa e poi vogliono che li difendiamo allegramente attraverso la Nato e gentilmente paghiamo per questo. Non funziona!”.

Parole che, a Formiche.net, Stefano Stefanini, già Rappresentante permanente d’Italia presso la Nato, ha definito “una vera e propria opzione nucleare che va ben oltre il chiedere più spese per la difesa e che potrebbe avere effetti devastanti”.

LA LINEA TRUMPIANA

Questa idea è condivisa, seppur con diverse sfumature, da quasi tutti i partecipanti al summit. Pochi parlano a microfoni aperti, ma prevale l’idea che il Presidente Usa non intenda davvero indebolire o, peggio, archiviare la Nato: anzi, in una serie di incontri informali, rivelano alcuni dei presenti al vertice, dalla diplomazia di Washington sono giunte precise rassicurazioni a riguardo. Piuttosto, si ritiene che, come da sua abitudine, l’inquilino della Casa Bianca stia tentando di sparigliare le carte per puntare a ciò che gli interessa davvero: far crescere l’economia americana. Per questo ha bisogno di riequilibrare il rapporto commerciale con l’Europa (che al momento significa soprattutto Germania), ritenuto non conveniente per gli interessi d’oltreatlantico.

LE CRITICHE

Il sentiero percorso da Trump, tuttavia, è accidentato. Al di là dei formalismi e dalla dialettica estremamente diretta da uomo d’affari, la scelta del presidente Usa di usare la Nato come grimaldello per scardinare l’egemonia teutonica nel vecchio continente gode di poche sponde non solo in Europa, come prevedibile, ma anche in patria.

Ciò è vero tanto in ambienti democratici quanto repubblicani.

Per Derek Chollet, executive vice president del think tank americano German Marshall Fund of the United States e già Assistant Secretary of Defense for International Security Affairs con Barack Obama, sentito da Formiche.net, alla base di quella che definisce “un’ossessione” di Trump per la Germania c’è “il grande successo economico che ha questo Paese”. Tuttavia, sottolinea, “le relazioni con Berlino sono importantissime, soprattutto perché la presenza di truppe americane in Germania è virar per gli Stati Uniti, così come il suo ruolo nell’Alleanza. Sono convinto che di tutto questo si dovrà tenere conto durante il vertice”.

Proprio ieri sera, il Senato Usa ha approvato una mozione a sostegno della Nato. Un voto, spiegano i media americani, avvenuto dopo la partenza del Presidente per il vertice.

“Mi sembra un messaggio chiarissimo inviato da un’ala del Parlamento che, pur essendo a maggioranza repubblicana, ovvero dello stesso partito di Trump, è molto preoccupata per quanto sta accadendo. I temi economici sono una cosa, i nostri alleati e la sicurezza collettiva un’altra”.

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