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L’Ucraina e la guerra dimenticata. Il report (promemoria) della Carnegie

Sul sito della Carnegie – super think tank internazionale, tra i primi cinque al mondo per autorevolezza – è uscita quella che potremmo chiamare analisi-reportage in cui il senior fellow Thomas de Waal ha raccontato un suo recente viaggio nell’est dell’Ucraina e ha analizzato la situazione di un conflitto che, scrive, “è diventato parte della vita” di quelle persone e che non solo non si sta riducendo – come gli accordi di Minsk firmati tre anni fa da Ucraina, Russia e province separatiste filo-russe prevederebbero –, ma anzi sta crescendo di pericolosità lontano dai media.

“Il conflitto, come sottolineano i funzionari internazionali che lo monitorano e mediano, non è sporadico e intermittente, ma permanente e in corso”, scrive de Waal. Negli ultimi due mesi, complice anche la maggiore autonomia affidata ai comandanti militari ucraini e il relativo inasprimento sull’altro lato, è aumentato l’uso di armi pesanti; ufficialmente ci sono stati 81 civili, 19 morti e 62 feriti, vittime degli scontri nei tre mesi da metà febbraio a metà maggio. “Ufficialmente”, perché forse il numero è anche superiore, soprattutto tra i feriti.

Quella che l’esperto della Carnegie analizza è una situazione importante, perché è alla base della crisi dei rapporti tra Russia e Unione Europea e Stati Uniti che stanno segnando i nostri tempi, e che sono iniziati con l’invasione e successiva annessione della Crimea e continuati con il sostegno ai separatisti della regione orientale ucraina, il Donbas. Quello che racconta de Waal è anche la risposta a tutti coloro che si chiedono come mai l’Ue continui a tenere in piedi le sanzioni contro Mosca.

Si tratta di misure su cui i membri dell’attuale governo italiano avevano detto di voler intervenire, per sollevarle, ma poi Roma s’è allineata alle decisioni del Consiglio europeo della scorsa settimana per una ragione semplice: la Russia è sotto regime sanzionatorio per la Crimea e per la guerra nel Donbas, e sebbene abbia firmato un protocollo internazionale di deconflicting, non sta facendo niente per fermare i separatisti (che da Mosca ricevono sostegni di vario genere).

Però, de Waal nelle sue considerazioni va oltre questo aspetto e analizza entrambi i lati, sostenendo che non c’è nessuna intenzione politica, almeno al momento, di rispettare gli accordi di Minsk, né a Kiev, né a Mosca, né a Lugansk e Donetsk, le due capitali delle province filo-russo che si sono autoproclamate repubbliche popolari indipendenti dal governo centrale ucraino.

Il contesto temporale pre-elettorale non aiuta, perché su tutti e due i fronti interni c’è interesse a mantenere lo status quo (che inevitabilmente porta verso il deterioramento, però) aspettando i risultati delle elezioni presidenziali e parlamentari ucraine del prossimo anno. D’altronde, la pace con la Russia è ritenuta un argomento politicamente impraticabile a Kiev, ma allo stesso modo è pure non potabile la strada dello scontro finale armato, lo spargimento di sangue: risultato, il conflitto continua, lontano dai riflettori, a media-bassa intensità.

“I meccanismi internazionali, inclusi i colloqui a Minsk, il formato Normandia e i contatti bilaterali tra gli inviati statunitensi e russi, Kurt Volker e Vladislav Surkov, sono ancora funzionali”, spiega de Waal, “ma sono anche [questi] più o meno in attesa”. E intanto l’interesse sotto-traccia di Washington, ma anche di Berlino e Parigi che fanno parte del gruppo di contatto del Formato, iniziano a essere temi interni al dibattito politico ucraino, come la lotta alla corruzione.

De Waal dà anche uno spaccato della situazione che vive quotidianamente la popolazione del Donbas. Ci sono circa 40mila persone che ogni giorno varcano la linea di confine, che è anche l’immobile fronte di guerra, per esempio: sono cittadini che non vogliono lasciare le proprie case, anche se si trovano in un territorio occupato dai ribelli, e però vogliono contemporaneamente mantenere tutti i pieni diritti di cittadinanza, che Kiev è restia a dare sebbene siano loro dovuti come ucraini. Situazione che provoca risentimento in quelle persone che si dichiarano “abbandonati da Kiev”.

O ancora: ci sono situazioni delicate come le zone senza elettricità o quella dell’impianto di filtrazione dell’acqua di Donetsk, circondato da entrambi gli schieramenti e in piedi soltanto a quello che l’analista della Carnegie chiama “l’eroico lavoro” dei funzionari Osce (l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea che monitora il conflitto e che nel 2018 lavora sotto la presidenza italiana).

De Waal ha parlato anche con una madre, che non vuol lasciare per non perdere casa e lavoro nonostante si trovi a Maiorsk, “che dista solo mezzo chilometro dalla linea di contatto che divide le forze ucraine, i ribelli e i loro sostenitori militari russi”: la donna racconta che vive con l’incubo delle bombe (un colpo di mortaio ha sfondato il tetto del municipio locale), dice che quando “è tranquillo sembra anche un po’ spaventoso”, e l’unica cosa che può fare è obbligare i suoi figli a stare a casa per le sette di sera, perché a quell’ora il bombardamento arriva preciso come un orologio.

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