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Cara Bongiorno, qualche consiglio non richiesto (ma utile) sulla Pa

Giulia Bongiorno

Il nuovo ministro della Funzione pubblica Giulia Bongiorno ha annunciato un massiccio programma di assunzioni (la stampa ha parlato di circa 400mila assunzioni entro il 2019) e misure draconiane per lottare contro l’assenteismo.

Se è vero che il buongiorno si vede dal mattino, il ministro Bongiorno comincia male. A parte il fatto che, dopo che il ministro Tria ha cassato il tentativo di assumere circa 8mila operatori della sicurezza per carenza di copertura finanziaria, l’annuncio potrebbe rivelarsi solo un proclama pre-elettorale. Ma di proclama pericoloso si tratta perché si concentra sui sintomi e non sulle cause dei problemi.

Vediamo i due aspetti, quello delle massicce assunzioni e quello della lotta all’assenteismo, separatamente.

LE ASSUNZIONI MASSICCE PROSPETTATE

Qui si dovrebbero prospettare tre problemi da affrontare preliminarmente prima di procedere alle assunzioni. Primo problema. Nella nostra Pubblica amministrazione le assunzioni vanno tradizionalmente a singhiozzo. Assunzioni di grandi numeri concentrate in pochi mesi, poi per molti anni poche assunzioni o nessuna assunzione. Questo è sintomo di mancata programmazione, in particolare mancata programmazione del turn-over. Se assumiamo 400mila dipendenti in pochi mesi condanniamo l’amministrazione allo stallo per i prossimi 40 anni. Quindi, non tanto di 400mila assunzioni abbiamo bisogno, quanto di un piano di lungo respiro tarato sulla gestione del turn-over.

Secondo problema. Qui non si tratta di quanti dipendenti assumere ma di quali dipendenti assumere. Una delle cause fondamentali delle disfunzioni della nostra amministrazione sta nel fatto che il posto (la funzione) si confonde con la persona (il funzionario). È noto a tutti che, quando il funzionario che tratta un dossier si deve assentare, il dossier si blocca. Nelle nostre amministrazioni mancano persino le tabelle dei rimpiazzi, per cui, ogni volta che qualcuno si assenta, non si sa mai chi lo sostituisce. La base giuridica di questa confusione è il concetto di “pianta organica”, nel quale il posto e la persona vengono a coincidere.

Nel 1994, il ministro della Funzione Pubblica Sabino Cassese con la legge 537 si introdusse per la prima volta la distinzione tra i concetti di “organizzazione degli uffici” e “dotazione organica”. Questa sana distinzione è poi andata persa con il Dlgs 150 del 2009, il cosiddetto decreto Brunetta, che ha di nuovo e inopinatamente introdotto il concetto di “pianta organica”, vanificando 15 anni di dolorosi tentativi di modernizzare la nostra amministrazione.

Qui bisogna introdurre, di nuovo la separazione di organizzazione degli uffici, che deve essere basata sulla mansione, da una parte, e gestione delle competenze, che deve essere basata su profili professionali. La distinzione è banale ma può lasciare interdetti coloro che sono abituati alle confuse prassi nostrane. La mansione deve definire che cosa il titolare deve fare. Il profilo professionale deve definire che cosa il dipendente deve saper fare. Il profilo è più ampio della mansione. Tante difficoltà riscontrate nella pratica per spostare il personale pubblico da un posto ad un altro, sono riconducibili alla confusione di mansione e profilo. Il reclutamento è uno dei momenti topici per la modernizzazione di qualsiasi organizzazione, è il momento in cui si introducono nuove competenze e nuovi approcci. Quindi prima di procedere alle nuove, più o meno massicce, assunzioni, bisognerebbe che l’Aran progettasse i profili (secondo la metodologia della gestione delle competenze) e che il Dipartimento della Funzione Pubblica definisse le regole per disegnare gli uffici e le mansioni.

Terzo Problema. Il neoassunto, anche il più bravo tra chi abbia superato i concorsi più severi, una volta entrato in servizio è un pesce fuor d’acqua. Non sa cosa fare. Gli manca la conoscenza delle prassi. Il neoassunto impara a lavorare con il metodo dell’affiancamento, cioè viene formato on the job dai colleghi. Il metodo è molto costoso e molto pericoloso. Costoso perché per diversi mesi il neoassunto non è produttivo e perché costringe i colleghi più anziani a trascurare il loro lavoro per formarlo. Un neoassunto, per diventare veramente operativo, assorbe come minimo il costo di 18 mesi di salario. La formazione on the job non è solo costosa ma è anche pericolosa. Favorisce la formazione di gruppi che si identificano con prassi tramandate oralmente, gruppi che non dialogano tra loro.

Qui bisogna prendere atto del fallimento dei vari tentativi di riformare la Scuola nazionale di Amministrazione, che resta una imitazione di una università, dove si erogano conoscenze teoriche (spesso già acquisite dai partecipanti all’Università). Bisogna pensare a meccanismi alternativi di introduzione del neoassunto al lavoro. Interessante potrebbe risultare il metodo usato in Belgio, basato sul coaching e la tecnica del fast track. Si tratta di metodi usati da molte imprese multinazionali (da noi il metodo è usato dal Nuovo Pignone).

LA LOTTA ALL’ASSENTEISMO

Mettere i tornelli e incentivare le visite fiscali è stato certamente utile. Ma non è bastato. Anche perché non so se sia peggio un funzionario che esce dall’ufficio durante l’orario di lavoro o un funzionario che sta in ufficio per tutto l’orario dovuto semplicemente a grattarsi i pollici. Il vero strumento qui è l’introduzione seria e non formale della gestione per obiettivi. Il dipendente non va controllato tanto sulla sua presenza quanto sul lavoro prodotto. Per poter realizzare questo principio è indispensabile dare reale attuazione alla contabilità per missioni, cioè a dire al Dlgs 91 del 2011 che è bellamente ignorato dai nostri ministeri e dalla Ragioneria.

Se questo governo vuole veramente cambiare registro, quello del reclutamento è una cartina al tornasole della sua capacità/volontà di innovare.

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