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Di Maio al centro di tutti i giochi (ma occhio all’Ilva)

Dopo avere vacillato per settimane, stretto fra le “bordate” di Salvini e una difficile presa di contatto con la realtà ministeriale, Luigi Di Maio si sta ritagliando un profilo più definito in vista del difficile autunno in arrivo. Vuole essere punto d’equilibrio su tutti e tre i fronti essenziali della maggioranza e in questi ultimi giorni ne ha dato prova evidente (con innegabile efficacia).

In primo luogo c’è bisogno di un leader capace di fare sintesi tra le molte anime del Movimento a cinque stelle, che spingono spesso in direzioni diverse (come si è visto plasticamente in tema di vaccini, con il ministro Grillo poco in sintonia con l’emendamento giallo-verde sul rinvio di un anno dell’obbligo per iscriversi alle scuole).

Qui Di Maio si pone come unico garante della “fedeltà” alle battaglie storiche pur sforzandosi di coniugarle con le necessarie “alchimie” di governo: esercizio difficile ma non impossibile, a patto di muoversi sempre con grande efficacia e rapidità senza mollare di un millimetro sul fronte della polemica (vedi battaglia furibonda con Renzi sull’ormai mitico A340). Sotto questo profilo Di Maio sa bene che non potrà mai allentare la tensione, perché altrimenti prevarrà il “richiamo della foresta”, che ha nel Dibba il più autentico interprete.

Il secondo fronte è quello del rapporto con la Lega, alleato insostituibile, ma certo non facile da gestire. Di Maio ha preso mazzate per settimane nella rapporto con i leghisti, ma, poco a poco, ha iniziato a prendere la mira, mettendo a segno qualche colpo importante a cominciare dalle nomine. È infatti ben evidente la sua vittoria sui fronti Cdp e Trenitalia, così come risulta assai significativa la presa di posizione sulla Rai, dove proprio Di Maio dice con chiarezza a Salvini che serve una figura diversa da Foa per la presidenza, inducendo così l’alleato alla sua prima vera sconfitta politica.

C’è poi il terzo (e complesso) fronte dei rapporti tra la decisiva componente “tecnica” del governo (Conte, Tria, Moavero) e i partiti che ne formano la coalizione. Anche qui Di Maio sta giocando con abilità, smussando spigoli e cercando di tenere tutti uniti (a Palazzo Chigi Giorgetti gli dà una mano con saggezza), soprattutto perché su questo punto si gioca quasi interamente il rapporto con il Quirinale, dove le giornate vedono alternarsi sentimenti assai diversi: a volte di fiducia e a volte no, in una percentuale allo stato nei dintorni del 50-50.

Ad ogni modo un punto è chiaro, per come la vede il Colle: non è Salvini il punto di riferimento né per l’oggi né per il domani.

Ecco allora farsi più comprensibile il perché Di Maio insiste da giorni sul fatto che le riforme economiche saranno avviate da subito ma senza che questo debba significare la guerra atomica con Bruxelles: nella sua idea il governo farà quello che c’è nel contratto siglato dal Lega e M5S ma lo farà con equilibrio, perché la crisi finanziaria non è interesse di nessuno.

Il “capo politico” del movimento sa molto bene che questa è la sua occasione, perché mai come ora è al centro della scena. Vuole quindi giocarsi al meglio tutte le carte, sfoggiando determinazione e equilibrio. Ne è prova la complessa vicenda Ilva, dove Di Maio si gioca molto del suo credito politico.

Agli amici più stretti dice che la soluzione c’è ed è nettamente meglio di quella ottenuta da Calenda, con chiusura della trattativa a settembre. Per arrivarci dovrà tenere sulla corda ancora un po’ tutti quanti, a cominciare da Arcelor Mittal, che però non intende rinunciare in alcun modo ai milioni di tonnellate che potrà produrre a Taranto, preziosi e redditizi come non mai dopo le sanzioni introdotte da Trump.

Ma oltre settembre non si può andare e lo stesso ministro non vuole metterci più tempo. Se così sarà, Di Maio porterà a casa una vittoria di prima grandezza.

In caso contrario saranno guai, per lui innanzitutto.

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