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Moavero in Egitto e Trenta in Libano. Il nostro club Med secondo Redaelli

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Il governo del cambiamento procede a tutta dritta in politica estera. Se ieri era stata la volta di Enzo Moavero Milanesi in Egitto, nella prima missione italiana dopo la morte del ricercatore Giulio Regeni, oggi tocca al ministro della Difesa Elisabetta Trenta, attesa in queste ore Libano. In un momento delicato come quello attuale, in cui l’Italia, concentrata sul caso libico, sta confermando il suo ruolo chiave di influenza sui Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, i viaggi internazionali intrapresi da vari membri del nuovo esecutivo continuano a portare a casa risultati importanti.

Riccardo Redaelli, professore ordinario di Geopolitica alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università Cattolica di Milano, in una conversazione con Formiche.net ha tracciato le linee principali che legano l’Italia ai due Paesi interessati dalle ultime uscite dei ministri Moavero e Trenta. “Sono due partite importanti e molto diverse allo stesso tempo. Quella in Egitto cerca, non dico di sanare, ma di andare oltre la tragica fine di Regeni. Motivo che è stato alla base del lungo stallo dei rapporti tra Italia e Egitto e che ancora deve risolversi completamente a causa della poca chiarezza egiziana. Il Libano, invece, è un Paese che ha sempre visto un ruolo italiano importante. Non fosse altro perché ormai da anni l’Italia guida la missione Unifil di interposizione tra Hezbollah e israeliani”.

Quali sono i punti principali che evidenziano il significato della missione in Libano del ministro Trenta?

In questo periodo Israele ha accentuato la sua politica anti-iraniana e di crescente durezza nei confronti di Hezbollah. Nel frattempo il Libano, che vive i contraccolpi fortissimi della guerra civile in Siria, con grande abilità è riuscito a non farsi travolgere da tutto quello che succedeva nella regione. Per l’Italia, dunque, la visita del ministro Trenta risulta meno strategica politicamente, ma ottiene un ruolo più operativo di sostegno alla presenza militare italiana nell’area e, contemporaneamente, di appoggio al processo di rafforzamento post elettorale nel Paese. Siamo in un periodo difficile in cui vi è una crescente demonizzazione da parte sunnita di tutto ciò che è ricollegabile all’Iran. E l’Italia, che a questa demonizzazione si oppone saggiamente, con questa visita ribadisce proprio il fatto che il nostro Paese non si allinea alla posizione anti-sciita.

Durante la visita di Moavero in Egitto si è parlato di “responsabilità geopolitica e storica” egiziana e italiana sulla Libia.

Sì, anche se quella italiana è ancora sotto la storia coloniale e quella egiziana guarda soprattutto alla Cirenaica. Come fattore molto importante, però, alla base dell’importanza dell’incontro, c’è la ripresa degli scambi commerciali tra i due Paesi. L’Eni per esempio è molto attivo sul territorio egiziano. E allo stesso tempo, anche da un punto di vista politico l’Egitto si rivela essere un attore fondamentale per la risoluzione del caso Libia. L’Egitto, comunque, ha un ruolo molto forte nel sostenere Haftar, che non è un amico dell’Italia evidentemente, e che porta avanti un progetto di demonizzazione dei Fratelli Musulmani in Libia. Questo naturalmente ci pone su fronti e prospettive perfettamente diversi.

Quali sono questi fronti?

Per quanto riguarda la Libia è evidente che c’è un tentativo francese di scansarci, tentativo peraltro intrapreso fin dall’inizio con gli inglesi e che poi è naufragato con l’anarchia. Più recentemente Macron ha cercato di riprendere le redini e reintrodurre la Francia come attore principale, sfruttando anche le nostre debolezze politiche interne. L’Italia, però, che ultimamente è rientrata in scena può contare sull’oggettiva fragilità della proposta francese (di indire elezioni a dicembre, ndr). Questa infatti si appoggia, per servire gli interessi geo economici francesi, su un attaccamento ad Haftar contro il piano delle Nazioni Unite e lo fa servendosi di una road map, come quella indicata da Macron, che non è francamente sostenibile.

L’Italia invece punta alla stabilizzazione dell’area, sostenuta anche dall’inviato speciale dell’Onu Salamè.

Il piano italiano vuole essere più comprensivo, meno divisivo rispetto a quello francese o egiziano. L’Egitto, poi, è ossessionato contro i Fratelli Musulmani ed è legato a Paesi come l’Arabia Saudita e gli Emirati che sono nemici dell’Islam politico. Tutto questo non aiuta a mantenere un approccio più equilibrato nel caso libico.

Negli ultimi tempi sono tornati a inasprirsi i toni della popolazione egiziana nei confronti di Al Sisi e della grave crisi economica in cui versa il Paese. In che modo gli investimenti italiani, come per esempio quelli dell’Eni, possono contribuire a risollevare l’economia dell’Egitto?

La questione del fronteggiare le richieste economiche e sociali di una popolazione come quella egiziana sono una delle questioni geopolitiche principali del futuro. Tutte le proiezioni demografiche sono spaventose. L’Egitto ha una crescita della popolazione indomabile, che non si riesce ad abbassare e che è francamente insostenibile al fine di garantire alimentazione, sanità, istruzione adeguata, casa, welfare. Un problema che si conosce da molti anni e che tutto quello che è avvenuto negli ultimi anni non ha fatto che aggravare. Al Sisi ha un grande vantaggio: la scoperta di questi enormi giacimenti di gas che trasforma l’Egitto da Paese importatore, affamato, a esportatore. Questo certamente consente di dare un aiuto molto forte a livello finanziario e anche di qualità di vita. Che però il gas da solo riesca a riallineare, per il lungo termine, la politica economica egiziana, io ho molti dubbi. Credo che sia necessario intervenire non solo sull’economia ma anche a livello sociale e culturale.

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