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La necessità fa virtù. Talebani e forze governative afgane contro l’Isis

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A minare la stabilità dell’Afghanistan non c’è solo l’eterna lotta tra i talebani e la coalizione internazionale a guida americana, che da 17 anni – tra continui stop and go e cambi di strategia – sta tentando di contrastare il tentativo del movimento islamista di rifondare l’Emirato islamico. Un nemico ancora più insidioso della pace nel paese più martoriato della terra è rappresentato dallo Stato islamico del Khorasan, noto negli ambienti militari come Isis-K: l’articolazione locale del gruppo jihadista sconfitto a Raqqa e Mosul che da tre anni a questa parte ha fatto radici anche in Afghanistan e rivaleggia con i talebani nel tentativo di destabilizzare il Paese.

L’Isis-K rappresenta un problema tanto per gli americani quanto per i talebani. Per i primi, l’obiettivo di sconfiggere la cancrena jihadista rimane prioritario, tanto nelle sue roccaforti siro-irachene quanto in qualsiasi altro luogo della terra, dalla Libia alle Filippine, in cui sia riuscito ad organizzarsi. Per i talebani, invece, Isis-K è un pericoloso rivale per il proprio progetto di potere, anche alla luce della maggiore radicalità della sua ideologia e delle pratiche efferate cui è aduso e che hanno spinto il movimento a marcare nettamente le distanze dal gruppo.

Stati Uniti e talebani si trovano così un nemico in comune, e lottano entrambi per debellarlo e riportare nella bottiglia il genio della violenza sacra di cui lo Stato islamico si è fatto campione in questi anni sanguinosissimi. Pur senza coordinarsi sul terreno, o quanto meno senza ammetterlo, americani, governo di Kabul e talebani stanno di fatto unendo le forze per togliere di mezzo una ferale minaccia per il futuro dell’Afghanistan. Quanto è avvenuto nelle ultime ore nella provincia settentrionale di Jowzian, nel distretto di Darzab, è sintomatico di questa convergenza di interessi tra attori che, al di là di questo, condividono poco o nulla.

Per neutralizzare un concentramento di forze dell’Isis-K che si era assestato a Jowzian nelle ultime settimane, i talebani hanno pianificato un’offensiva in piena regola. Secondo la testimonianza di Maulavi Abdulhai Hayat, capo del comitato per la sicurezza del consiglio provinciale di Jowzian, circa duemila talebani si sono radunati qui un mese fa giungendo da varie parti del paese, inclusa la remota provincia del sud di Helmand, per organizzare l’attacco.

Per un mese, le due formazioni si sono battute strenuamente, con Isis-K che ha avuto alla fine la peggio, contando tra le sue fila ben cento vittime. Nelle ultime battute della battaglia, i militanti di Isis-K sono stati costretti a ripiegare in due villaggi remoti del distretto, dove i talebani hanno potuto accerchiarli facilmente.

Ai combattenti di Isis-K non è rimasta che un’alternativa: perire sino all’ultimo uomo o arrendersi, scelta che è ricaduta su questa seconda opzione. Ma se una parte dei militanti si è consegnata ai talebani, altri hanno preferito defilarsi di notte dal campo di battaglia e raggiungere le postazioni dell’esercito regolare, dove si sono arresi. Il vice capo della polizia della provincia di Jowzian, Abdul Hafiz Khashi, segnala come siano circa 250 i combattenti consegnatisi alle autorità di Kabul, e che tra loro ci sono anche una quarantina di foreign fighters, compresi due cittadini francesi di cui si conoscono solo i nomi di battaglia, Abu Mohammad and Abu Mariam.

Il portavoce delle forze speciali afgane, maggiore Ahmad Jawid Salim, ha scritto sul suo profilo Facebook che gli sviluppi di queste ore segnano la fine della presenza dello Stato Islamico nell’Afghanistan settentrionale. “Dopo la resa di più di duecento membri di Daesh nel distretto di Darzab”, sono le parole di Salim, “Daesh è stato espulso dal nord”.

Ma la verità è più articolata di quanto emerga dalle dichiarazioni di Salim. Ad esse bisogna affiancare anche quanto comunicato dal vice capo della polizia Khashi, che precisa come “l’area che le forze di Daesh teneva sotto controllo è stata presa dai talebani”. Non a caso, a poche ore dalla notizia della resa del contingente di ISIS-K nelle mani dell’esercito afgano, il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid dichiarava entusiasta che il “fenomeno maligno di Daesh è stato completamente eliminato” da Darzab, e che ora “le nostre corti militari decideranno il destino” dei combattenti catturati.

La notizia della resa dei militanti dell’Isis-K è stata rilanciata anche dalle forze della coalizione. “Possiamo confermare”, ha detto il portavoce tenente colonnello Martin O’Donnel, “che un ampio numero di combattenti di Isis-K si è arreso alle autorità afgane”. Sebbene O’Donnel si dica scettico che questa sconfitta marchi “il collasso” del gruppo “nel nord del paese”. il portavoce ha aggiunto che la coalizione continuerà a fare il proprio lavoro per far sì che “non ci siano paradisi sicuri” per Isis-K in Afghanistan “o per qualsiasi altro foreign fighter che fugga da altre parti (del paese) e cerchi di ristabilire una presenza da cui terrorizzare i civili afgani innocenti e commettere le loro azioni violente estremiste”.

Insomma, i talebani ieri segnano un punto a proprio favore nella lotta per acquisire legittimità agli occhi degli afgani e per incrementare il proprio potere negoziale nelle eventuali trattative con gli americani e il governo di Kabul. Era stato del resto proprio il capo delle forze Usa in Afghanistan, generale John Nicholson, a dichiarare il mese scorso che “stiamo andando a testa bassa contro l’Isis. E poiché notiamo che anche i talebani stanno combattendo l’Isis, noi li incoraggiamo perché l’Isis deve essere distrutto”. Se non è un’ammissione di coordinamento, poco ci manca.

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