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Ecco come valorizzare l’industria europea della Difesa. Parla Castaldo

Di Roberto Pagano
castaldo

Romano, classe 1985, eurodeputato dal 2014, avvocato e attivista del M5S e già collaboratore parlamentare in Italia, Fabio Massimo Castaldo dal novembre 2017 è il nuovo vice presidente del Parlamento Ue. Rivendica “il ruolo autonomo dell’assemblea” e intende “valorizzare la diplomazia parlamentare Ue” in direzione di una cooperazione internazionale intra-Ue e inter-atlantica, anche sul lato industriale e commerciale, realmente paritaria.

Si sono succeduti in queste ultime settimane, anche in parallelo con la formazione ed entrata in attività del nuovo governo italiano Cinquestelle-Lega, diversi appuntamenti internazionali con una attività diplomatica intensa. Dalla riunione Nato a livello ministeriale, all’incontro al vertice del 10 luglio, il faccia a faccia Trump-Conte. E poi ancora una discussione a livello di stampa e tra esperti su quali politiche e quale Pesco della Ue – tralasciando la questione migrazioni –, con il debutto di nuovi esecutivi, specie in Germania e Italia, e la annosa questione di una cooperazione industriale effettiva tra Stati nel settore Difesa e sicurezza. Partiamo da una sua valutazione.

La partita, in effetti, si gioca sulla cooperazione industriale europea nel campo della Difesa, e sulla volontà di andare a colmare determinati gap tecnologici che sono emersi nel corso di questi anni e, soprattutto, sul tema della mobilità militare. Quel che a me preme sottolineare è che l’Italia oggi sappia rivendicare un ruolo e delle priorità chiare, affinché l’agenda europea sia una sintesi genuina delle istanze, delle priorità e delle esigenze dei diversi paesi. Per esempio, indico il tema della mobilità militare: bisogna ricordare che non c’è solo un asse da Ovest verso Est, ma stante le minacce, l’instabilità perdurante nel Mediterraneo, esiste anche un asse da Nord verso Sud. L’Italia deve affermarlo con vigore, così come è stato detto a livello governativo nell’ultimo summit della Nato, dove si è ribadita l’importanza dell’Hub di Napoli per la pianificazione strategica del fronte Sud. Allo stesso modo, si deve declinare lo stesso principio sulla cooperazione e parlo del Fondo Europeo per la Difesa (Edf) con 13 miliardi di euro nei prossimi sette anni. Bisogna qui ribadire che i progetti devono essere veramente a valore aggiunto europeo, e non devono nascondere delle cooperazioni bilaterali mascherate: queste ultime, infatti, dovrebbero essere finanziate dai Paesi che ne intendono beneficiare.

Cosa pensa del tour del presidente Tajani e delle delegazioni del Parlamento Ue nell’area Maghreb, in Libia e Niger, in cerca di un ruolo autonomo, e più incisivo, dell’Europa rispetto alle iniziative dei singoli Stati nazionali? Anche il M5S ha idee convergenti?

È necessario affermare un ruolo autonomo, propulsivo, del Parlamento europeo nei confronti delle altre istituzioni. Un ruolo che sappia valorizzare in modo saggio la diplomazia parlamentare Ue come strumento complementare rispetto alla risoluzione di situazioni di crisi. Certo, però, è che non ci si deve limitare a quelle che potrebbero scadere in iniziative spot, ma deve esserci veramente una programmazione saggia ed attenta, e la volontà di far convergere quanti più governi possibile su una agenda veramente fatta di sforzi collettivi comuni. Non dichiarazioni di facciata contraddette poi dalle linee politiche effettivamente applicate nel campo diplomatico e militare, e a beneficio solo di interessi di parte. Questo è lampante nella crisi libica, ma lo è anche in altri contesti. Riguardo alla Libia, la soluzione passa nel capire e – questo non lo hanno ancora molto compreso i nostri cugini d’Oltralpe – che si devono mettere a sistema gli sforzi per far ripartire una transizione nel paese. Se questo non accade e si alimentano, invece, le aspettative tra le fazioni e la speranza di una vittoria militare sul campo, la crisi non finirà mai. È il film triste di questi anni e spero che iniziative come quelle messe in atto da tutto il Parlamento, non solo dal presidente, possano essere un contributo notevole nell’aprire gli occhi e far capire che, forse, le cause della crisi e sono più a casa nostra che in loco, nella controparte libica.

Quale impulso, maggior sostegno da dare all’industria nazionale della Difesa e della sicurezza, che, oltretutto, ha una rilevanza, una importanza fondamentale sia in termini di qualità, di capacità di innovazione, ed anche di prestigio internazionale del nostro Paese?

Una premessa: è importante scrivere bene le regole. Un legislatore saggio ed attento deve sapere mettere al centro il valore aggiunto europeo e definire regole e norme che siano ad includendum e non ad excludendum per alcuni. E deve, quindi, essere un legislatore che fa bene il suo lavoro, non portatore di interessi privati e settoriali, ma collettivi. Ci si deve indirizzare alla creazione di sinergie, che devono essere accessibili a tutti, e si deve essere capaci di difendere gli interessi europei, non quelli di singoli Stati. Questo non era vero e non accadeva nella versione originale dell’Edap (l’European defence action plan, ndr), il fondo-pilota che è stato l’antesignano e predecessore del Fondo Europeo di Difesa, che adesso sarà il vero strumento per gli anni a venire. Deve esserci la consapevolezza che l’Italia può e deve giocare un ruolo da protagonista e facendo valere le sue eccellenze, farsi largo in questo contesto ma, ovviamente, ci deve essere la volontà di farne uno strumento genuinamente europeo, non manipolarlo per realizzare le ambizioni geopolitiche di alcuni dei suoi membri. Tutto questo è possibile e noi lo rivendichiamo. Su questa nostra impostazione, direi critica ma costruttiva, si sono potuti far convergere diversi paesi su una volontà di scrivere regole veramente condivise e veramente europee. E questo è l’impegno per gli anni a venire.

È chiaramente una boutade la minaccia statunitense di uscire dall’Alleanza atlantica, se i partner non contribuiranno molto più sostanziosamente alle spese, ma cosa pensa delle risultanze dell’ultimo vertice di Bruxelles dei Capi di Stato e di governo della Nato? Rimanendo in tema, come valuta la necessità di una più stretta cooperazione tra l’Alleanza e l’Unione europea, come si è sottolineato da parte italiana nel recente, primo incontro a Roma tra il premier Conte e il segretario generale Stoltenberg?

Innanzitutto, penso che l’Italia debba affermare con forza che il 2% (la percentuale di Pil nuovamente richiesta dagli Stati Uniti agli altri partner Nato per la membership, ndr) non possa essere calcolato esclusivamente sul contributo e dalla capacità contributiva dei singoli Stati, ma anche conteggiando i costi per la partecipazione alle missioni internazionali e gli investimenti strategici effettuati anche con ricaduta ‘dual use’ in alcuni campi, e penso alle infrastrutture, ma anche agli investimenti nell’area tecnologica e in altri settori di eguale importanza.
Soprattutto, la sinergia tra i membri deve essere costruita tenendo conto che l’Alleanza deve ripensarsi, e rivedere le sue priorità strategiche, guardando ad un mondo che non è più quello né delle sue origini, né di qualche tempo fa. E penso anche che la volontà americana non sia quella di uscire dalla Nato, ma il sottendere da parte di Washington di darci meno garanzie rispetto al passato. Questo apre spazi ed opportunità in chiave europea per rivendicare la necessità di una maggiore autonomia strategica, ma bisogna perseguirla con intelligenza. E vale anche per il nostro Paese, per l’Italia, che deve ugualmente giocare qui con saggezza, come protagonista sullo scacchiere europeo, rivendicando un ruolo di mediatore per cercare di mantenere i fili dell’interlocuzione atlantica. Siamo consci della difficoltà della sfida, ma anche molto intenzionati ad essere in campo nell’interesse del nostro Paese e nel quadro di relazioni stabili che possono aiutare a mantenere un ordine multilaterale, piuttosto che assecondare invece iniziative di chi volesse sconvolgerlo.

Un’ultima domanda. L’amministrazione Trump, oltre la ribadita richiesta di aumento delle spese nazionali per la Nato, ha inaugurato una linea di difesa a tutto campo degli interessi commerciali statunitensi, provocando una tensione continua, al limite dello scontro, con gli alleati e non solo. A parte il recente incontro con il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker che pare prefigurare un momentaneo appeasement lei come la vede e come uscirne?

Penso che si debba dare una lettura sulla base delle categorie che sono proprie magari di chi ha una formazione di tipo imprenditoriale e che pensa prettamente al lato commerciale e di breve termine, piuttosto che a un lato più geopolitico e di lungo termine. Su questa contraddizione vive l’atteggiamento e l’agenda degli Usa in questo momento. Immagino che sarà pagato un prezzo dagli Stati Uniti dal punto di vista della loro affidabilità nelle relazioni internazionali, ma penso anche che una politica tutta focalizzata sul fronte della ricerca del consenso interno statunitense potrebbe trovare persino un riscontro. È chiaro che è una scelta del presidente Trump, ed ha delle conseguenze. In parte posso anche criticarla e non condividerla, ma dalla nostra prospettiva bisogna cercare di tenere salda quella comunanza di valori e principi che ha fatto grandi i decenni di cooperazione e di alleanza occidentale. Questo rivendicando e riaffermando, però, l’importanza delle nostre priorità sul fronte Sud e del Mediterraneo, e da parte europea la necessità sia di cooperare bene per cooperare meglio, che di spendere meno per spendere meglio. Questo è un obiettivo raggiungibile, basta avere la volontà politica.

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