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Vi spiego la guerra di nervi tra Usa e Turchia. L’analisi di Minuto-Rizzo

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Una guerra di nervi quella tra Usa e Turchia, con sullo sfondo provocazioni, mosse e contromosse. Dopo le sanzioni americane contro i ministri di Giustizia e Interni del governo di Ankara, ecco la replica di Erdogan: congelati i beni del segretario americano alla Giustizia e del segretario agli Interni. Formiche.net ne ha parlato con l’ambasciatore Alessandro Minuto-Rizzo, diplomatico italiano, già segretario generale ad interim della Nato.

Ambasciatore, come pesa la mossa di Erdogan? La sterzata di chi si sente braccato o l’ennesima provocazione per aumentare la tensione?

Credo siamo in presenza di una guerra di nervi, di due paesi e due governi, ognuno dei quali punta sul proprio potere e sulla propria capacità di influenza sugli altri e non più sul gioco delle alleanze. Di Trump si è già detto tutto. Di Erdogan serve ricordare che nelle ultime elezioni ha conquistato tutto il potere disponibile, ha messo sotto silenzio i militari, ha effettuato molti arresti e nel paese non c’è più stampa libera.

E l’acquisto dei missili russi?

Un fatto molto grave per un paese appartenente alla Nato. Mi domando come questo sia tollerabile anche se nessuna legge lo vieta.

Senza dimenticare le campagne contro i curdi…

Gli unici che si sono battuti contro l’Isis. Tra l’altro Erdogan mostra di infischiarsene delle critiche che gli piovono dal resto del mondo. Lo abbiamo visto in Germania con la polemica legata agli sportivi e ai cittadini di seconda generazione. Lì l’immigrazione turca è storica, e la foto con il calciatore Ozil ha spaccato in due la comunità turco-tedesca. Ci sono anche parlamentari tedeschi di origine curda, per cui penso all’assurdità di questa polemica. Per cui questa guerra di nervi è pericolosissima.

Per quale ragione?

Perché fino a quando si tratta di un voler alzare la posta è un conto, ma andare oltre significa non controllare più le reazioni. Hanno iniziato con la vicenda del pastore, che i turchi considerano un criminale da processare. Per cui Trump ha tirato fuori la storia delle sanzioni, a cui Erdogan ha replicato con la stessa moneta.

In caso contrario?

Si passa all’escalation. Nessuno si azzarda ovviamente a immaginare uno scenario di guerra mondiale, ma di contro i paragoni storici servono per riflettere. Nel libro “I cannoni d’agosto” di Barbara W. Tuchman si ricorda che la prima guerra mondiale nacque esattamente così: con una serie di pressioni di un paese sull’altro, con ultimatum rifiutati. Quindi alla fine si passò alle armi. Detto questo, Usa e Turchia non credo si spareranno, però si tratta certamente di una vicenda in cui la comunità internazionale tiferebbe per uno zero a zero. I due colossi si sfiorano e per miracolo non si scontrano.

Ma quale paese ha più bisogno dell’altro anche in ottica Nato?

È uno scenario molto difficile da disegnare, ma forse direi gli Usa più della Turchia. Ed è questa l’impressione che hanno ad Ankara. Il loro calcolo è che gli americani, all’ultimo momento, non avranno il coraggio di fare una mossa azzardata perché la Turchia confina con Iran e Siria. Inoltre un’altra conseguenza di tale escalation potrebbe essere l’ulteriore avvicinamento turco a Mosca, passaggio che in termini geostratetici è nocivo per Washington e per la Nato.

Il dossier energetico legato al Tap crede possa avere un ruolo in questa vicenda?

No, perché la Turchia è solo un paese di transito del gas proveniente da Baku. In realtà il Tap è il “residuo” del Nabucco che si è fermato perché i russi non l’hanno mai voluto perché avrebbe creato una grossa alternativa alle loro esportazioni.

Cosa cambia dopo il disimpegno Usa dalla base turca di Incirlik, che ha spostato mezzi e uomini in Grecia?

Diminuisce sensibilmente l’interesse americano verso Ankara. E soprattutto gli Usa non sono più disposti ad essere sottoposti ai ricatti turchi.

twitter@FDepalo

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