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Disuguaglianza e unità nazionale. I nodi costituzionali delle autonomie spiegati da Mirabelli

Il procedimento per attribuire ad alcune Regioni “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”, come consente l’articolo 116 della Costituzione, è avviato. Il Consiglio dei ministri ha condiviso il percorso di attuazione dell’autonomia differenziata richiesto dalle Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna e ha previsto che entro il 15 febbraio di quest’anno possa essere proposta ai presidenti di queste Regioni l’intesa sulla quale convenire, da sottoporre successivamente all’approvazione delle Camere con leggi che ne recepiscano il contenuto. Analoghe richieste, avanzate da Liguria, Toscana, Umbria, Marche e Piemonte, completano il quadro delle Regioni del nord e del centro del Paese che chiedono l’attribuzione di un’autonomia differenziata che le avvicini alle cinque Regioni ad autonomia speciale, le quali già “dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia”.

Questa prima applicazione della disposizione costituzionale che consente l’autonomia differenziata assume particolare importanza non solamente per il contenuto delle intese, che comprende in larga misura le materie nelle quali è concorrente e ripartita la competenza dello Stato e delle Regioni, ma anche perché suscita alcuni problemi di interpretazione dell’art. 116 della Costituzione nel contesto del sistema delle autonomie. Inoltre, propone interrogativi di fondo sul significato di unità e indivisibilità della Repubblica, e sul rispetto del principio costituzionale di eguaglianza. Il riconoscimento e la promozione delle autonomie locali sono compresi tra i princìpi fondamentali della Costituzione e rendono legittima una accresciuta autonomia delle Regioni, in rispondenza al principio di sussidiarietà nella articolazione dei livelli di governo e di gestione delle funzioni pubbliche.

Tuttavia, è da valutare se l’ampiezza dei contenuti e una disciplina radicalmente differenziata per aggregati regionali omogenei, contrapposti alle restanti Regioni, non comporti il rischio di rompere surrettiziamente l’unità della Repubblica, pur mantenendo la indivisibilità territoriale. Questo problema non riguarda le intese ora in discussione, che non assumono questa dimensione, ma è da tenere presente in prospettiva, a evitare una frattura profonda tra nord e sud del Paese. Quanto al principio di eguaglianza, non è da escludere che i contenuti delle intese prevedano trattamenti differenziati che, se non ragionevolmente giustificati, inciderebbero sull’eguaglianza dei cittadini. In particolar modo se dalle intese derivasse una inammissibile diversità nel livello di godimento dei diritti sociali o venisse meno il riequilibrio territoriale mediante le risorse destinate a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

Un esito che comporti diseguaglianze dovrebbe essere di fatto scongiurato dall’essere lo Stato l’unico soggetto titolare dei rapporti con le diverse Regioni, idoneo quindi a evitare attribuzioni di competenze che comportino discriminazioni o diversità di trattamento non giustificate. Il contesto costituzionale dell’autonomia differenziata preordina strumenti destinati a precludere questi esiti. È di competenza esclusiva dello Stato determinare i “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Se ne può desumere che le intese non possono legittimamente alterare questo equilibrio, intervenendo in materie che riguardano diritti civili e sociali il cui livello non sia stato prima stabilito dallo Stato.

In aggiunta, l’articolo 119 della Costituzione prevede due strumenti di carattere finanziario destinati a riequilibrare il rapporto tra Regioni. Un fondo perequativo deve consentire l’attribuzione di risorse alle Regioni con minore gettito fiscale per abitante. Oltre a ciò, devono essere assegnate risorse aggiuntive “per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona”. Questa disposizione riecheggia la formula dell’art. 3 della Costituzione e impone interventi di riequilibrio paralleli all’attribuzione di risorse sulla base delle intese. In definitiva, l’autonomia differenziata non deve essere occasione di accentuazione o di consolidamento degli squilibri esistenti tra le Regioni, bensì occasione perché lo Stato metta in campo ogni strumento necessario per “promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale”, come la Costituzione prescrive.

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