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Per il Vaticano è immorale l’immortalità?

A volte la scienza supera la fantascienza, questo è spesso noto. In particolare quando ci si addentra in questioni come l’allungamento della vita, ma fino ad un livello in cui si parla di una sua estensione infinita, vale a dire di una potenziale immortalità biologica dell’essere umano. E non si tratta di una prospettiva di tipo spirituale. Ma allora, a questo punto, per il Vaticano è da considerarsi “morale” l’immortalità? La domanda evidentemente deve essere risuonata in alcuni ambienti cattolici, al punto che l’ingegnere newyorkese Peter Diamandis, fondatore della X Prize Foundation e presidente esecutivo di Singularity University, organizzazione che offre corsi di studio basati sulle teorie futurologiche della “singolarità tecnologica”, in cui si spiega che il progresso tecnologico talvolta può superare la capacità di comprensione e di previsione degli esseri umani, ha raccontato di avere partecipato in Vaticano, all’inizio del mese, a un convegno in cui è stata messa a tema proprio tale atipica questione. Quella cioè della “moralità dell’immortalità”.

“Oggi, se ti dicessi che qualcuno ha trapiantato il cuore di una persona morta nel loro petto per salvarsi la vita, non sarebbe considerato un miracolo. Tuttavia, se si torna indietro di 1.000 anni, la nozione di trapianto di organi sarebbe stata considerata una magia nera. La gravidanza surrogata è un altro miracolo dei nostri giorni che, in un’altra epoca, non sarebbe sicuramente stata accettata. Credo che presto faremo un salto etico e morale simile alla longevità estrema”, ha spiegato Diamandis facendo il resoconto di quanto emerso dall’evento, a cui, assieme a lui, hanno partecipato il neurochirurgo Sanjay Gupta, il rabbino Edward Reichman, il cardiologo Dale Renlund, il microbiologo e padre domenicano Nicancor Austriaco e il genetista cristiano evangelico Francis Collins, noto per aver guidato il team di ricercatori che ha decifrato il genoma umano e per il suo libro “The Language of God”, in cui descrive la scienza come “un’opportunità di preghiera”, dimostrandone cioè la non contraddizione con la fede, in linea con la sua prospettiva del “bio-logos”.

“Adamo visse fino a 930 anni, Matusalemme fino a 969 anni, Abramo 175 anni. Mosè morì a 120 anni, ed è solo dopo di lui che nella Bibbia la durata della vita umana è fissata al massimo a 120 anni”, ha invece spiegato il rabbino Reichman, riportato da Diamandis. “Al tempo del diluvio di Noè, Dio dichiarò che gli uomini avrebbero vissuto per 120 anni, ma questo non si è verificato immediatamente. Ci sono voluti circa 750 anni per ridurre gradualmente la longevità dell’uomo da circa 900 anni a 120 anni” ha proseguito ancora il rabbino, avvalorando le sue tesi citando il lavoro dello scienziato Nathan Aviezer, professore di fisica in Israele, in cui si spiega che in quella situazione “fu un intervento divino a introdurre geni specifici per ridurre la longevità”. E oggi “può essere che stiamo tentando di identificare quegli stessi geni per invertirne gli effetti ed ottenere di nuovo quella stessa longevità”, ha continuato Reichman.

Negli ultimi anni, infatti, nel dibattito tra scienziati “longevisti”, genetisti, biologi e futurologi, ha fatto irruzione l’ipotesi per l’essere umano di raggiungere, in un futuro nemmeno troppo lontano, se non proprio la possibilità di prolungare all’infinito i suoi limiti biologici intrinseci, grazie ad interventi medici in grado di annullare quei particolari effetti dovuti all’invecchiamento e che portano al decesso, un aumento della durata della propria vita di numerosi anni. C’è chi parla di trenta o cinquant’anni, chi sostiene che già gli individui nati in questi anni potranno raggiungere l’età di centotrentacinque o centocinquant’anni, altri ancora che parlano di trecento o di addirittura mille anni, e chi infine sostiene che un domani i dati del nostro cervello potranno essere trapiantati all’interno di una macchina che ci farà vivere all’interno di una seconda mente, almeno finché esisterà la tecnologia. Si dice che Jeff Bezos abbia già finanziato, con una cifra pari a 127 milioni di dollari, la ricerca su medicinali in grado di eliminare quelle cellule che con l’anzianità smettono di dividersi, in modo da permettere al paziente di vivere il 35% in più della propria vita. Scenari da vera e propria fantascienza, con molta probabilità gli stessi che portano diversi ambienti cristiani e cattolici ad allarmarsi, e a ravvisare nelle teorie dette del post-umano e del trans-umano, che tuttavia in questi casi applicativi diventano sempre meno teorie e sempre più realtà, una vera e propria minaccia all’umano. Oltre che il seme di una potenziale divisione netta in seno all’umanità, che verrebbe a crearsi tra chi potrà economicamente permettersi interventi di questo genere e chi no. Una vera differenziazione di tipi umani: mortali e immortali.

“Da una prospettiva evolutiva, la longevità non è stata un vantaggio per gran parte della storia”, ha tuttavia anche scritto Diamandis, a cui si è aggiunto il genetista Collins. “L’invecchiamento non è solo il sistema che si scarica”, ha affermato a sua volta lo scienziato. “È un processo programmato. L’evoluzione probabilmente ha tratto un guadagno dal non far durare la vita di una singola specie per sempre. Perché devi mettere i vecchi fuori strada se vuoi che i giovani abbiano le loro possibilità”. Questo perché con un’allungamento della vita così significativo si dovrebbe poi, con tutta evidenza, fare fronte alle difficoltà del sistema pensionistico pubblico di reggere. A meno che non si finisca per aumentare anche l’età lavorativa, caso nel quale si verificherebbe l’effetto contrario. “Perché ritirarsi a 70 anni, al culmine della tua capacità di guadagno, quando potresti potenzialmente contribuire alla società per altri 30 anni? Questo genererebbe il più grande boom del Pil globale di sempre”, ha affermato Diamandis.

Al di là però delle singole opinioni, il dato messo in luce dal professor Collins è che già oggi siamo in grado di manipolare in laboratorio la longevità di organismi semplici, come accaduto con il verme Caenorhabditis elegans. “Esistono un insieme limitato di geni che determinano la durata di vita di quei vermi”, e “manipolandoli si possono fare vivere fino a quattro o cinque volte tanto”, ha spiegato Collins, prima di passare alla chiosa che forse i presenti aspettavano o forse, meglio ancora, temevano: “immaginate di applicarlo agli umani”.

È l’idea cioè della “longevity escape velocity” di cui parla il co-fondatore della Singularity University, Ray Kurzweil, in cui si spiega che in un futuro molto prossimo sarà fattibile estendere la nostra esistenza di un anno per ogni anno vissuto. Diamandis sostiene che questo sarà possibile già nei prossimi venti o trent’anni. “Quando ero a scuola di medicina ho visto un documentario su alcune specie di balene, tartarughe e squali che potevano vivere centinaia di anni, e in teoria, fino a 700 anni. Ricordo di aver pensato: Se possono, perché non possiamo?”, ha scritto l’ingegnere newyorkese. Ed è probabilmente la domanda che si saranno posti, in maniera più seria di quanto ci si potrebbe immaginare, cardinali e gruppi cattolici che hanno organizzato l’evento di cui parla Diamandis. Che ha però rivelato, in chiusura, da parte di tutti i religiosi presenti a quel singolo incontro, la concordia sul fatto che, tuttavia, “aggiungere un sano extra di trent’anni sarebbe auspicabile”.

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