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Sarko e i suoi primi cento giorni

“Premier flic de France”. Primo sbirro di Francia. No, non è il soprannome di Nicholas Sarkozy, ma solo uno dei tanti con cui, narra la leggenda, si usava soprannominare “le Tigre”, lo statista francese Georges Clemenceau, vissuto a cavallo tra l’ottocento ed il novecento, ostinato anti-bonapartista e deputato di estrema sinistra prima, radical-socialista poi, ancora oggi celebrato da un fervente socialista come Laurent Fabius. Come Sarkozy, Clemenceau fu Ministro dell’Interno, e represse con energia ogni sciopero, quelli stessi scioperi che Sarzoky dice oggi di voler regolamentare con più vigore. Fu il fautore più convinto dell’accordo con l’Inghilterra per garantire la sicurezza francese rispetto alla minaccia tedesca. Non a caso ottenne il rispetto di un altro grande leader di schieramento opposto, Winston Churchill, che nel momento dell’investitura parlamentare di Clemenceau a Primo Ministro nel 1917 ebbe a dire, “tutto intorno a lui vi era un’Assemblea che avrebbe fatto di tutto per evitare di averlo lì, ma che, avendolo messo lì, sentiva di dover obbedire”.

C’è un filo sottile che lega nel corso di più di 100 anni Clemenceau a Churchill a Sarkozy. Un filo facile da spezzare, data l’apparente incompatibilità dei personaggi e dei loro percorsi, ma pur sempre presente, visto l’incredibile richiamo a Churchill di Sarkozy in piena campagna elettorale, come colui a cui ascrivere la nascita “dell’ideale europeo” quando, nel 1946, “questo uomo così grande nella guerra fu il primo a proclamare la necessità dell’Europa perché non vedeva che della grandezza nella pace”. Probabilmente mai nel dopoguerra un politico francese ha messo in secondo piano così brutalmente, quali padri fondatori dell’Europa, personaggi come Monnet, Schumann, De Gaulle, dallo stesso Sarkozy ammirati e citati, per di più per far primeggiare un inglese.

Ma non è una scelta casuale. Riflette piuttosto una duplice tensione ideale radicata in Sarkozy, verso un’identità europea legata anche al sociale ma anche verso un liberalismo di stampo d’oltre-Manica e d’oltre-Atlantico. Sarkozy crede infatti in una Francia dove nel mercato del lavoro venga ridotta la precarietà dei contratti, specialmente per i giovani, ma in cui ci si lasci alle spalle la “conquista sociale” delle 35 ore, nella convinzione che la malattia della Francia si chiama bassa occupazione e scarso lavoro e che “l’attività degli uni crea il lavoro degli altri”. Sarkozy propone, per coloro che sono stati appena licenziati, un contributo pubblico pari al 90% dell’ultimo salario ma allo stesso tempo precisa che si decade da tale diritto se si rifiutano due lavori di seguito senza giustificazione. Crede nel sistema educativo pubblico ma pretende che si torni a selezionare docenti e studenti in base al merito e all’eccellenza. Il merito, quella strana parola che non appare nemmeno una volta nel programma della Fabbrica del Governo Prodi. Molte di queste proposte economiche provengono dal c.d. rapporto Camdessus “Il risveglio, verso una nuova crescita per la Francia” elaborato da una serie di economisti indipendenti capitanati appunto dal Governatore onorario della Banca di Francia, a conferma di un’altra qualità attribuita al neo-Presidente, quella di sapersi circondare da un gruppo di consiglieri validissimi.

“Pas seulement des droits, aussi des devoirs” ha detto la sera del dibattito guardando negli occhi Ségolène Royal. Ma forse parlava a tutti gli europei, indicando una terza via. Questa terza via metterà in sofferenza, senza il minimo dubbio, l’attuale concezione europea così come espressa nel credo della Commissione e della sua classe dirigente. In quest’ambito Sarkozy ha l’originalità di discostarsi dalla visione più conservatrice dei tecnici del gruppo Camdessus, dimostrando una visione politica coraggiosa ed indipendente. E non è solo una questione di mettersi alle spalle la Costituzione Europea, la regola dell’unanimità, la Turchia, tutti aspetti sui quali pare aleggiare in Europa una generale rassegnazione: è ben di più. Sarkozy chiede che la politica monetaria della BCE metta al centro del suo mandato non solo l’inflazione ma anche l’occupazione, come negli Stati Uniti. Reclama una politica attiva del cambio che, alla luce della posizione adottata in questi ultimi anni da Francoforte che ha portato a livelli eccessivi l’euro, è certamente benvenuta. Sarà tuttavia meglio allacciarsi le cinture perché la lotta politico-istituzionale sarà durissima.

Sarkozy ha studiato bene gli Stati Uniti e sa cosa fa di questa economia di mercato la maggiore potenza mondiale. Sa che negli Stati Uniti, in nome della concorrenza e del liberalismo, si coltiva e protegge con cura quella pianta così delicata che è la piccola impresa. Sarkozy promette di fare altrettanto. Come hanno fatto tutti i Presidenti degli Stati Uniti dal dopoguerra, democratici o repubblicani, Sarkozy si batterà affinché vengano riservate sostanziose quote di appalti pubblici alle piccole e medie imprese, al fine di ottenere una vera concorrenza dinamica di lungo periodo. Nel fare ciò il leader francese sa bene che andrà ad imbattersi nell’opposizione miope della Commissione Europea, che ritiene sufficiente dettare regole uguali per tutti senza occhi di riguardo per la dimensione d’impresa. Come tutti i presidenti degli Stati Uniti da Carter in poi, Sarkozy sa che una medesima regolamentazione amministrativa spesso impatta sui costi delle piccole imprese ben di più di quanto non impatti sui costi delle grandi imprese e si batterà affinché tali regolamentazioni siano evitate per le piccole in nome delle pari opportunità di partenza, come lo sono da anni negli Stati Uniti. E’ la terza via, quella di un’Europa politica che sfidi il gigante americano nel rispetto dei suoi valori liberali, poco curandosi del modello liberista e burocratico finora imperante nell’Europa geografica a 27 o più paesi.

Sarkozy sarà Presidente della Repubblica di Francia. Di quel Paese i cui telegiornali nel giorno del faccia a faccia finale preferiscono aprire con le notizie sul Governo israeliano in crisi o sulle immagini delle manifestazioni per la laicità in Turchia piuttosto che sul dibattito tra Ségolène Royal e Nicholas Sarkozy. Ma anche di quel Paese che ha l’ambizione di guidare piuttosto che di seguire. Di quel Paese che, come l’Assemblea parlamentare con Georges Clemenceau, è sempre alla ricerca di un Général a cui dover obbedire, più o meno di buon grado, affinché questi lo conduca a primeggiare nella Storia. E chissà che anche l’Europa non speri che Sarkozy sia capace di vincere anche questa sfida.

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