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L’altro ambientalista

L’Italia è come quel signore che, “imboccata l’autostrada al contrario e sentito alla radio l’allarme relativo ad un pazzo che viaggia in direzione opposta, dice tra sé: Sì uno, saranno almeno centomila!”. Con quest’immagine, di severa canzonatura, Chicco Testa – presidente di Roma Metropolitane, ex presidente Enel, in passato alla guida della maggiore organizzazione  ambientalista italiana, Legambiente – prova a rispondere al grande interrogativo che dà il titolo al suo ultimo pamphlet: Tornare al nucleare? L’Italia, l’energia, l’ambiente.
 
Testa parte dalle conclusioni e lo fa dettando una sorta di “agenda minima” delle “cose da fare” per rendere l’impegno per quest’opzione concreto e non solo parolaio. Quattro punti che vanno dall’individuazione di un sito di stoccaggio dei rifiuti radioattivi – senza darsela a gambe di fronte al timido e comprensibile fiorire dell’effetto Nimby – alla costituzione di un’autorità di controllo “alle dipendenze  della Presidenza del Consiglio”; dalla scelta di una tecnologia già esistente con cui siglare un accordo di cooperazione – come nel caso Enel-Edf – alla valutazione dei luoghi in cui far sorgere gli impianti. E qui cascherebbe l’asino. Perché l’Italia sembra “non avere ancora i muscoli” per l’impegno nucleare soprattutto a causa della carenza di una “cultura bipartisan” che riuscirebbe a “moderare i toni e costruire ponti solidi”.
 
La storia italiana è quella che è, sembra dire l’autore. E l’incidente di Chernobyl, in Ucraina, fu all’origine di una forte ondata emotiva che sostenne la nascita di un vasto movimento antinucleare. Risultato: l’attuale ipoteca sul futuro nucleare ed energetico del nostro Paese. Partiamo da lontano dunque in quella che spesso è apparsa più una “disputa religiosa” che un dibattito sulle idee.
 
Peccato che le “scelte pubbliche” non dovrebbero essere “argomento di fede” ma riguardare opinioni, chiosa Testa: oggi come allora resiste il medesimo clima da caccia alle streghe, eppure…
 
Eppure il mondo è cambiato, è diventato più “grande” di 30 anni fa e ha bisogno di tanta energia. Energia per crescere, per “continuare a svilupparsi, per uscire dalla povertà” che attanaglia ancora miliardi di persone. E non ci sono nuovi modi per produrre energia in “quantità rilevanti e in modo continuo”. Per questa ragione, le fonti di energia presenti e future continueranno ad essere quelle dei combustibili fossili con numerosi problemi conseguenti: di “scarsità relativa, di costo e ambientali”. Le fonti rinnovabili ci sono ma “non sono divenute realmente alternative” e restano “quantitativamente modeste”. Ecco la domanda delle domande: “Possiamo permetterci  di rinunciare a una delle poche fonti di energia ‘non fossile’, in grado di assicurare una produzione continua e quantitativamente rilevante?”. La risposta è un no secco ma argomentato. Perché è improprio “mettere in alternativa l’energia nucleare con altre soluzioni ambientalmente soddisfacenti” e perché se lo sviluppo delle fonti rinnovabili avesse lo scopo di cancellare il nucleare, “l’unico risultato sarebbe quello di lasciare a carbone, gas e petrolio ancora più spazio”. Ci sono, dunque, altre strade percorribili, “non alternative ma complementari”: tra queste risparmio ed efficienza energetici.
 
Ancora. Contro gli scienziati del clima che avvertono: “Siamo alla vigilia di una catastrofe”, Testa risponde che “il mondo non è mai apparso così ospitale” e che però “tutto dipende dalla velocità con cui questo accade” perché “il rapporto della specie umana con l’ecosfera non è passivo”. Un esempio? La storiella delle linci e dei conigli, tratta dal libro The closing circle di Barry Commoner: “Le linci mangiano i conigli. Se le linci sono tante, i conigli diminuiscono; ma se calano i conigli, le linci restano senza cibo e quindi anche loro diminuiscono e così via…”, in un’infinità di “cerchi ecologici” che si sostengono e si correggono l’uno con l’altro. Morale: “Nessuna popolazione aumenta di consistenza se l’ecosistema si degrada”, fa parte dei meccanismi di feedback che costituiscono l’intelligenza del nostro pianeta. Ora, la buona notizia è che la “maggior parte delle cose che si dovrebbero fare si possono fare”, e in molti casi comportano anche un miglioramento dei nostri conti e della qualità della nostra vita. Ancora una volta la soluzione sta nell’uso delle tecnologie.
 
Messa al bando la vecchia retorica ambientalista, “esercitiamo ogni giorno il nostro diritto all’inquinamento, appropriandoci del nostro pezzettino di ambiente”, Testa predilige un approccio razionale, lontano dal “verbo” dei predicatori di sventura come dagli apologeti del nucleare, sintetizzabile da questo passaggio: “Il contributo (del nucleare) al fabbisogno energetico del mondo è relativo e tale rimarrà per i prossimi decenni” (…),  ma “solo la cooperazione fra diverse fonti, una continua mitigazione dell’impatto di quelle fossili, lo sviluppo delle rinnovabili e l’uso efficiente dell’energia sono in grado di rispondere ai nostri bisogni”.
 
Quando si dice un “approccio laico”, cioè “basarsi sulla capacità di scegliere il male minore”! E cita Sarkozy: “Il nucleare non è la soluzione, ma senza il nucleare non vi è soluzione”. 
 
 
Estratto del libro Tornare al nucleare di Chicco Testa:
 
Il futuro dietro l’angolo
Il problema non è il nucleare… Il problema è l’Italia. Ci sarebbe un modo facile  per noi per rientrare nel nucleare. Agganciarsi allo sviluppo  in questo settore, siglando accordi di cooperazione tecnologica. Evitando cioè di ricominciare tutto da capo, ma avendo la capacità di “importare” tecnologie già sperimentate. Il che non significa farsi colonizzare, ma approfittare del contesto europeo per fare ricrescere competenze e capacità manifatturiere anche in Italia. Se questa è, infatti, la situazione, con decine di centrali in costruzione in diversi parti del mondo, è evidente che la scelta dell’Italia di “restarne fuori” non ha alcun senso, alcun peso e alcun significato. Il nostro esempio non ha fatto proseliti. Al contrario. Né esistono difficoltà tecnologiche, che ci potrebbero impedire di “rientrare”. Se guardassimo all’Italia come ad una parte dell’Europa, salire sul treno della terza e delle futura quarta generazione di tecnologie nucleari sarebbe relativamente semplice. Qualche centrale in Italia potrebbe essere troppo poco, se la si vede come scelta autoctona. Molto se inserita nel quadro di sviluppo europeo, utilizzando le economie di scala, per esempio, delle centrali francesi. Fra l’altro la presenza di Enel nella gestione di centrali nucleari sia in Slovacchia che in Spagna permette un ritrovato know – how, se non altro per acquisizione. Né avrebbe alcun senso chiedere ad Enel di espandersi all’estero per poi dismettere le centrali nucleari, che ha ritrovato all’interno delle società acquisite. Ma questi sono solo “ragionamenti ragionevoli”. Perché in realtà esistono, secondo me, poche concrete  possibilità di fare ripartire il nucleare in Italia. (…) Dalla Tav alle discariche campane, dai rigassificatori ai termocombustori l’egoismo locale, la sindrome Nimby, ma soprattutto lo sguardo corto e fazioso delle famiglie politiche, prevalgono su ogni argomentazione razionale. Ciò che è norma in altre parti d’Europa, da noi appare come un’ impresa miracolosa. (…)Ma se qualcuno obietta che il costo e il rendimento dell’energia solare sono oggi troppo alti nel primo caso e troppo basso nel secondo, giustamente si fa osservare che l’innovazione e la ricerca possono portarci rapidamente a migliorare questi numeri. E  sono  d’accordo. Anzi dovremmo investire un po’ di più anche in Italia in ricerca e innovazione sul solare. Ma quello che è vero per il solare è, a mio parere, vero anche per il nucleare.
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