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Gomito a gomito con l’India

Cina e India, i due giganti dell’Asia, che sgomita sempre più prepotente alle spalle degli Stati Uniti e ormai davanti all’Unione europea in termini di potenzialità politiche ed economiche, sono sempre più protagonisti di una vorticosa rincorsa alla crescita. Non a caso i maggiori Paesi occidentali – ultimo in ordine di tempo il Regno Unito, il cui governo ha deciso di aumentare rispettivamente di 50 e 30 unità il proprio personale diplomatico a Pechino e New Delhi, con una contemporanea riduzione degli organici in sedi europee ormai di importanza minore per gli interessi britannici – già da tempo hanno cominciato a rimodulare la loro presenza nelle due potenze asiatiche. La corsa tra cinesi e indiani, nel concreto, si sviluppa ormai su molteplici fronti sempre più impegnativi e variegati. Esaminarli tutti sarebbe impossibile in questa sede. Vale quindi la pena concentrarsi, in modo da approfondirli, su tre specifici fronti. Il primo riguarda gli sviluppi demografici dei due più popolosi Paesi del mondo. Il secondo attiene all’economia, da ormai molti anni terreno privilegiato del confronto sino-indiano. Il terzo guarda invece alle tensioni, che hanno origine ben cinque decenni fa e che però continuano a condizionare pesantemente le relazioni tra Pechino e New Delhi, presenti sul lungo confine che unisce le due nazioni.
 
A confermare questa tendenza ormai in atto da almeno un decennio sono alcune notizie molto significative emerse nei tempi più recenti. In primo luogo la Cina e l’India sono protagoniste assolute delle ultime rilevazioni compiute dalle Nazioni Unite sui trend demografici mondiali. Infatti dal 2001 in poi la popolazione indiana è cresciuta in modo impressionante con un incremento di 181 milioni di persone. L’India conta quindi, secondo i dati ufficiali, circa 1,2 miliardi di abitanti. La Cina ne ha ancora un numero superiore, ma secondo le stime tale situazione è destinata a mutare. Tanto che, entro il 2030, dovrebbe compiersi lo storico sorpasso da parte indiana. La crescita della popolazione indiana, che oggi rappresenta il 17% di quella mondiale (pur occupando solo il 2,4% del pianeta) dovrebbe poi rallentare alla metà del secolo. Certamente la vorticosa crescita della popolazione dell’India non è di per sé una notizia a tutti i costi positiva, in quanto porta con sé una serie di incognite importanti di carattere sociale ed economico. Ma allo stesso tempo, anche solo per un semplice fatto quantitativo, delinea l’immagine di un Paese destinato a giocare un ruolo sempre più importante sulla scena mondiale sulla scorta di quanto avviene già da maggior tempo per la Cina.
 
Il secondo grande campo di confronto sino-indiano è quello economico e commerciale, il quale poi a sua volta indirizza inevitabilmente il confronto politico e militare. È proprio grazie ai due giganti che, l’anno scorso, l’area Asia-Pacifico ha registrato una crescita globale di quasi il 9% e ha potuto avere un effetto traino sull’economia mondiale nel suo complesso, mentre gli Stati Uniti e soprattutto l’Europa erano alle prese con le conseguenze della grande crisi mondiale esplosa nel 2009. Ma allo stesso tempo, la Cina e l’India sono anche un chiaro esempio di come, nella parte emergente del mondo, si sia ancora lontani da una situazione nella quale le strabilianti performance in termini di Pil e di crescita industriale siano in grado di coniugarsi con una contemporanea crescita sostenibile a livello sociale. A confermarlo è l’Economic and social survey of Asia and Pacific 2010, pubblicato di recente dalla Commissione economica regionale. Lo stesso documento sottolinea che nell’Asia meridionale una persona su tre vive al di sotto della soglia di povertà e che la garanzia dei servizi di base (assistenza sociale, sanità e istruzione) rimangono ancora grandi priorità per governi come quello cinese e quello indiano, i quali quindi non dovrebbero sacrificare tutto sull’altare delle performance macroeconomiche. Si pensi soprattutto al caso dell’India, dove da tempo è in atto una forte tendenza inflazionistica. Questo quadro, che vede cinesi e indiani, pur con le loro peculiarità e differenze, accomunati da questioni di grande delicatezza, non toglie il fatto essenziale: ovvero che la Cina e l’India sono impegnate in una concorrenza reciproca molto forte. Infatti, afferma il Fondo monetario internazionale, nel biennio 2011-12 la Cina dovrebbe vedere la propria economia crescere intorno al 9,5%. Invece l’India dovrebbe registrare un più 8% circa.
 
Il terzo fronte è infine quello che continua a sussistere intorno al controllo dello Stato indiano dell’Arunachal Pradesh, che la Cina non cessa di reclamare (denominandolo “Tibet meridionale”) e che nel 1962 fu al centro di un breve conflitto armato tra le due potenze asiatiche. Sul lato opposto del confine l’India reclama un territorio cinese che si trova nei pressi del Kashmir, a sua volta una regione che da decenni oppone gli indiani al Pakistan. Alla fine dell’anno scorso Pechino ha completato una nuova autostrada che collega l’area di confine contesa all’entroterra cinese. Una mossa, questa, che secondo alcuni osservatori potrebbe essere stata fatta dalle autorità cinesi al fine di assicurarsi una infrastruttura utile a dislocare velocemente le proprie truppe in caso di nuove tensioni militari con l’esercito indiano. E intanto i colloqui tra le parti, riavviati nel 2009 per cercare una soluzione definitiva alla contesa di confine, languono.
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