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La scossa che fa tremare il Dragone

 I recenti episodi in Libia hanno indotto la Cina ad assumere un comportamento nuovo e inusuale se si considera che, per la prima volta, ha violato il principio di non-interferenza nella politica interna di un Paese. Dopo le iniziali e abituali riserve, Pechino ha appoggiato la decisione storica e senza precedenti di sospendere la Libia dal Consiglio dei diritti umani dell’Onu e sostenuto le sanzioni contro il Paese. Poi è arrivata la dichiarazione del presidente cinese Hu Jintao che, in occasione della visita ufficiale del capo di Stato Nicolas Sarkozy, ha sottolineato che i raid della coalizione sulla Libia avrebbero potuto violare la risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che ha autorizzato l’imposizione di una no-fly zone.
La questione libica dunque ha offerto l’opportunità a Pechino di giocare un ruolo importante per poter evidenziare, ancora una volta, la crescente influenza nella politica internazionale. È emerso con chiarezza che la Cina deve mantenere un delicato equilibrio con gli altri Paesi poiché è nella inconsueta posizione di essere contemporaneamente una delle principali economie mondiali e un Paese ancora in via di sviluppo. A rendere ancora più complicata la situazione, è stata la consapevolezza di Pechino di essere costretto a infrangere la tradizionale regola di non-interferenza negli affari interni di un altro Paese e di rispetto della sovranità, ma la violenta controffensiva di Gheddafi contro gli insorti ha violato un altro principio cardine della Cina: la stabilità.
 
Il governo cinese ha così dato priorità assoluta alla sicurezza dei cittadini e schierando navi, treni e aerei, ha condotto il più grande esodo della sua storia con l’evacuazione di oltre 35mila cinesi dalla Libia. Durante gli assalti, molti lavoratori sono rimasti feriti e Pechino ha immediatamente ordinato ai rappresentanti del governo di fare il possibile per la salvaguardia dell’incolumità dei cinesi anche perché la mancanza di un intervento per frenare le violenze potevano ripercuotersi all’interno della Cina scatenando le proteste della popolazione. Questa infatti rappresenta una delle principali paure delle autorità, coscienti del fatto che sarebbe difficile gestire un moto rivoluzionario di un miliardo e trecento milioni di persone senza compromettere la solidità del governo.
Libia e Cina sono legate da interessi commerciali e ovviamente gli attacchi agli impianti petroliferi hanno provocato non poche preoccupazioni al Paese asiatico ormai noto per la continua ricerca di materie prime utili a sostenere i ritmi di crescita elevati. Rispetto ai Paesi dell’Unione europea, la Cina importa solo il 3% del petrolio libico, ma le rivolte e il rialzo dei prezzi del greggio potrebbero essere l’inizio di nuovi accordi economici con ripercussioni notevoli per gli storici partner commerciali. L’interesse cinese per il continente nero non è notizia recente e da anni Pechino ha deciso di instaurare una politica win-win in cui gli investimenti per la costruzione di infrastrutture vengono ripagati con lo sfruttamento del petrolio, dei giacimenti minerari e delle riserve di gas. Questo atteggiamento è stato più volte criticato dal governo libico che contestava l’invasione cinese dell’Africa salvo poi, in occasione delle ultime vicende, invitare la Cina, l’India e la Russia ad investire in Libia. Un’eventualità che forse l’Unione europea e gli Stati Uniti hanno sottovalutato, dimenticando che nella corsa al petrolio uno dei concorrenti più temibili è la Terra di mezzo.
 
“Siamo pronti a far venire le compagnie cinesi e indiane al posto delle imprese occidentali” ha minacciato Muammar Gheddafi quando, a causa della fuga del personale di aziende straniere, si è verificato un fortissimo abbassamento della produzione petrolifera. Un invito a sfruttare le risorse della Libia e ad avviare relazioni bilaterali che nel corso dei giorni ha avuto diverse evoluzioni fino alla notizia che la Cina è stata la prima nazione ad acquistare petrolio dai ribelli. Gli insorti hanno infatti ripristinato le forniture di greggio e una petroliera libica registrata “Equador”, che può trasportare un milione di barili, ha lasciato il porto di Tobruk per raggiungere probabilmente la zona di Dalian. Nessun problema poi per quanto riguarda il pagamento, il valore della prima spedizione sembra aggirarsi intorno ai 112 milioni di dollari, che sarà effettuato tramite banche offshore.
Questo episodio avrà delle ripercussioni nella ripresa della commercializzazione del petrolio. Gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno affermato che gli insorti possono incassare i soldi provenienti dalla vendita del greggio, senza violare le sanzioni imposte dalla risoluzione 1973 dell’Onu, purché non siano intascati da Gheddafi e da sostenitori del leader libico.
 
Un ottimo affare per i ribelli che, con il pretesto di far ripartire l’economia libica al più presto, hanno trovato una fonte di finanziamento per le operazioni contro il regime e, nello stesso tempo, un vantaggio per la Cina che, comprando il petrolio libico, ha l’opportunità di aumentare la sfera di influenza politica ed economica. È evidente quindi l’importanza che in questo momento la Libia riveste per il Paese asiatico, essendo anche uno dei principali argomenti di discussione durante l’incontro dei Bric (Brasile, Russia, India e Cina), a cui parteciperà per la prima volta il Sudafrica. Pechino ha quindi deciso di adottare nuove strategie nei rapporti con il Medio Oriente e l’Africa, un cambio di direzione che potrebbe essere condiviso dalle Nazioni Unite perché in questo modo si sentirebbero appoggiate per la risoluzione di altre situazioni di crisi e conflitti. La questione libica ha inoltre evidenziato la necessità della popolazione cinese di sentirsi protetta non solo nel proprio Paese ma anche nel resto del mondo. L’esodo senza precedenti a cui è stata costretta la Cina e le difficoltà per ripristinare gli approvvigionamenti di petrolio hanno evidenziato che non può più essere sempre una voce fuori dal coro e in questa occasione la difesa degli interessi nazionali coincide con le priorità dei Paesi occidentali.
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