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Il Tar blocca il decreto rifiuti per Roma

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Tutto da rifare a Roma, sui rifiuti. Il Tar del Lazio ha sospeso il decreto del ministro dell’Ambiente Corrado Clini che consentiva al commissario per l’emergenza di individuare gli impianti che, nella regione, potevano accogliere la spazzatura capitolina. Secondo il Tar, in sintesi, manca ‘l’emergenza’ per giustificare un trattamento al di fuori del territorio di pertinenza.
Gli impianti che, secondo il piano, dovevano ricevere i rifiuti – non solo di Roma ma anche di Fiumicino, Ciampino e Stato del Vaticano – erano quelli di Albano laziale (Roma), Viterbo, Colfelice e Castelforte (Latina). Questo, grazie a quel provvedimento, avrebbe evitato l’emergenza nella capitale che ora stando alle parole di Clini, di qualche giorno fa, potrebbe abbattersi sulla capitale d’Italia.

E, anche i carabinieri del Nucleo operativo ecologico (Noe), due giorni fa, avevano sostanzialmente messo nero su bianco – con un rapporto seguito ad alcuni sopralluoghi – che gli impianti avevano una certa capacità residua. Per il Tribunale amministrativo – che ha accolto le richieste del comune di Albano Laziale, della società Saf (Società ambiente Frosinone), della provincia di Frosinone e dell’Unione dei comuni antica terra di lavoro – il percorso istruttorio e la motivazione, alla base dell’individuazione dei quattro impianti in cui conferire i rifiuti indifferenziati di Roma, “denotano un insufficiente e lacunoso esame dei presupposti”.

I giudici amministrativi della II sezione bis, presieduta da Eduardo Pugliese, fanno di piu’; individuano anche quali siano questi presupposti insufficienti: “La mancata completa verifica della sussistenza di una situazione di effettiva indilazionabile emergenza specificamente riferita all’impossibilità di risolvere ‘in loco’ la questione del Trattamento meccanico biologico (Tmb) dei rifiuti urbani prodotti dai Comuni di Roma Capitale, Fiumicino, Ciampino e dallo Stato della Città del Vaticano”. Secondo la decisione del Tar ci sarebbe una mancata “considerazione e valutazione analitica dei dati di fatto” che “appaiono indicare, alla stregua dei rilievi effettuati dal Noe di Roma, la sussistenza di una quantomeno teorica capacità residua degli impianti Tmb di Roma”.

In pratica si dice di “evitare l’aggravamento della situazione degli impianti siti in altri ambiti territoriali della regione Lazio oltre i limiti consentiti” senza che questo sia legato a “un principio di stretta necessità in relazione a un’acclarata urgenza”. Inoltre, il Tar parla anche della “necessità di considerare anche l’effettiva situazione di capienza e funzionamento concreto degli impianti coinvolti”, attraverso una “ulteriore istruttoria tecnica in contraddittorio con tutti i soggetti interessati”.

Le ordinanze con cui vengono sostanzialmente ‘bloccati’ i trasferimenti di spazzatura parlano di provvedimenti (quelli di Clini e Sottile) che “non contemplano l’emergenza”. I singoli provvedimenti e il decreto ministeriale sul tema dei rifiuti – scrivono i giudici – “risultano essere stati adottati sul presupposto di una ritenuta grave criticità” per “l’intero ciclo di gestione dei rifiuti nella Capitale, ma non sembrano contemplare quella vera e propria situazione di emergenza ambientale che è stata invece invocata in giudizio dalla difesa dell’Amministrazione al fine di giustificare la loro adozione”. Inoltre per il Tar sono anche presenti “carenze e contraddittorietà” che “non consentono, allo stato, di individuare profili di coerenza, utilità e ragionevolezza delle misure adottate in relazione all’interesse pubblico dichiaratamente perseguito”. Nel passaggio finale i giudici bloccano i provvedimenti e al contempo sollecitano un “successivo riesame dell’intera questione da parte degli organi competenti”.

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