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Gli Usa con Kerry concedono il bis all’Italia. Ecco perché

John Kerry torna per la seconda volta in pochissimi mesi in Italia. L’impressione è che il Segretario di Stato americano abbia colto il valore della centralità geografica del nostro Paese. L’essere storicamente un ponte fra Ovest ed Est e fra Nord e Sud rappresenta una grande opportunità politica e diplomatica.

Lo ha compreso perfettamente l’ambasciatore Thorne che fra poco lascerà Villa Taverna per raggiungere Washington dove potrà collaborare in modo più diretto con il numero uno di Foggy Bottom. Il suo rapporto di fiducia con Kerry ha sicuramente aiutato Roma a divenire tappa privilegiata nei suoi viaggi ma c’è da scommettere che – se non esploderanno tensioni bilaterali come per il caso Muos – questa speciale relazione proseguirà anche dopo.

In un contesto in cui l’Unione europea fatica a far emergere una “sua” politica estera, l‘Italia può assurgere a luogo privilegiato per ospitare negoziati che riguardino in modo particolare il Mediterraneo e il Medio Oriente. Se a febbraio a Roma si discusse di Siria, nei prossimi giorni l’argomento dei colloqui di Kerry sarà il percorso di pace fra Israele e Palestina. L’uno e l’altro sono dossier complicati e non di immediata soluzione ma se il nostro Paese diviene una tappa dei processi diplomatici internazionali questo è un plus-valore che merita di essere segnalato e “sfruttato”. Noi possiamo essere solo una location (come tale intercambiabile) oppure un luogo attivo di politica estera. Gli Usa ci offrono una grandissima opportunità ma sta a noi coglierla.

“Diplomacy in action” è lo slogan che identifica il Dipartimento di Stato e se Hillary Clinton ha trascorso più tempo all’estero che a Washington, John Kerry sembra intenzionato a fare ancora meglio. Il Segretario, da febbraio ad oggi, ha visitato 19 Paesi, percorso 65.427 miglia, viaggiato per 37 giorni trascorrendo in aereo 145 ore (equivalenti a 6 giorni). Questi numeri non comprendono ancora la missione in Russia e quella, al rientro, in Italia, ma danno il segno chiarissimo di una azione diplomatica che tiene conto della responsabilità globale degli Stati Uniti. In tempi di crisi della finanza pubblica (negli Usa i tagli di bilancio noti come ‘sequestration’ sono una questione centrale), non possiamo cavarcela illudendoci che in Corea del Nord come in Siria ci sia sempre e solo la bandiera a stelle e strisce che presidia la libertà e la pace. All’Europa, e all’Italia, tocca fare un upgrade di impegno che non è solo militare ma anche e soprattutto politico-diplomatico. Dall’Atlantico al Mediterraneo c’è un mare di occasioni per il nostro Paese. Kerry lo ha colto. Noi?

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