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Berlusconi, Renzi e Cancellieri, storie di inganni presunti e certi

Per quanto accreditata dallo stesso Silvio Berlusconi con la previsione di una comune partecipazione allo stesso schieramento nelle prossime elezioni, e con lo scherzoso consiglio di affiancarsi come “cugini” ai “fratelli d’Italia” di Giorgia Meloni, Ignazio La Russa e Guido Crosetto, è un po’ troppo riduttiva la rappresentazione soft di quanto è avvenuto tra gli amici di Angelino Alfano e la rinata Forza Italia. Come se la separazione fosse una mezza sceneggiata, diciamo pure un inganno, per procedere oggi divisi e tornare poi, o continuare già ora, a colpire uniti.

ECCO TUTTE LE FOTO DI UMBERTO PIZZI CHE HA IMMORTALATO LA PRESENTAZIONE DEL NUOVO CENTRODESTRA

BERLUSCNI RIFONDA FORZA ITALIA. TUTTE LE FOTO DI UMBERTO PIZZI

Si tratta di una rappresentazione riduttiva, ed essa sì ingannevole, sia perché le scissioni politiche contengono sempre aspetti autenticamente traumatici, per niente ingannevoli e destinati a riassorbirsi, sia perché il sistema politico italiano ha ormai smesso di essere bipolare, come è stato sostanzialmente vissuto dagli elettori per merito di Berlusconi dal 1994 al 2008.

L’INCOGNITA LEGGE ELETTORALE

Solo in un sistema davvero o sostanzialmente bipolare si possono immaginare Alfano e gli amici che lo hanno seguito nella separazione dal rifondatore di Forza Italia costretti a riallearsi con lui in occasione del prossimo rinnovo delle Camere. E ciò a prescindere dalla legge elettorale con la quale si andrà a votare e dagli sforzi, sinceri o ipocriti, che dichiarati bipolaristi di destra e di sinistra mostrano di voler compiere per scongiurare il ripristino formale o sostanziale del metodo proporzionale ghigliottinato dal referendum del 1993.

VERSO QUATTRO POLI

Con le elezioni generali di fine febbraio scorso, segnate dall’irruzione dei grillini in Parlamento, il sistema è diventato quanto meno tripolare. E con ciò che, in concomitanza forse non casuale proprio con la separazione fra Alfano e Berlusconi, è accaduto nell’area centrale improvvisata un anno fa da Mario Monti, i poli potrebbero diventare più stabilmente e concretamente quattro.

IL FUTURO DI ALFANO

In particolare, smaltita la sofferenza comprensibilmente procuratagli dalla decisione di separarsi da chi nel 2011 lo incoronò segretario del Pdl, il vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno potrebbe trovarsi in occasione delle prossime elezioni politiche in sintonia più con la componente più autenticamente “popolare” – da Partito Popolare Europeo – della ormai ex Scelta Civica di Monti che con Forza Italia. Dove Berlusconi, volente o nolente, potrebbe trovarsi nei prossimi mesi ancora più condizionato dalle sue pendenze giudiziarie e dai cosiddetti falchi. Dei quali ultimi, d’altronde, egli stesso ha mostrato di conoscere bene umori e istinti poco utili e commendevoli nel momento in cui, sabato scorso, ha invitato la platea del Pdl in transito verso Forza Italia a non fischiare e insultare, come si era già cominciato a fare, chi aveva deciso di separarsene disertando l’assemblea.

LA RANCOROSA FORZA ITALIA

La nuova edizione di Forza Italia sembra purtroppo destinata per ragioni che esulano dalla stessa volontà del suo fondatore e capo carismatico ad essere meno aperta e festosa di quella originaria, di una ventina d’anni fa. Ricordi e rancori possono mescolarsi troppo rovinosamente. Quanto più Alfano dovesse riuscire con il suo nuovo partito, nei dodici mesi che ha chiesto per essere giudicato, a rafforzare peso e visibilità in un governo dove il presidente del Consiglio ha un oggettivo interesse a favorirlo, tanto meno potrebbero perdonargli nell’ex Pdl il “tradimento” rimproveratogli già prima della rottura.

LA FISIONOMIA DEL PD

Niente probabilmente sarà sufficiente nell’azione concreta e non certo facile dei ministri del Nuovo Centrodestra per sottrarli al sospetto e all’accusa interessata dei “falchi” forzaitalioti di arrendevolezza al Pd. Che peraltro fra qualche settimana potrà essere non più il partito di Enrico Letta e di un segretario transitorio come Guglielmo Epifani, ma il partito guidato da un Matteo Renzi smanioso di farsi sentire e valere. E di incalzare “l’amico Enrico” sulla strada dell’esaurimento della fase delle cosiddette larghe intese. Delle quali il sindaco di Firenze mostrò nella scorsa primavera di condividere l’opportunità solo per un po’: il tempo necessario per coltivare la speranza di poterle realizzare lui a Palazzo Chigi e vedersi invece sorpassato dall’allora vice segretario del Pd, preferitogli da Berlusconi – disse Renzi, raccontando di esserne stato informato direttamente dal Cavaliere per telefono – ma ancor prima e di più da un avveduto presidente della Repubblica. Che aveva evidentemente avvertito la troppa e imprevedibile baldanza del giovane aspirante a tutto.

IL RUOLO DI RENZI

Alla influenza moderatrice e alle preoccupazioni di Giorgio Napolitano per l’imbarbarimento della lotta politica Renzi si è rapidamente rivelato, per anagrafe e temperamento, come l’esponente del Pd meno disponibile, o più refrattario. I fatti parlano da soli. Il sindaco per oggi di Firenze, domani forse d’Italia, com’egli stesso immagina la figura del presidente del Consiglio sottovalutando disinvoltamente le necessarie e preventive modifiche costituzionali, prima ha accusato Letta di farsi dettare l’agenda di governo più da Berlusconi che dal proprio partito. Poi ha contestato il messaggio del capo dello Stato alle Camere sull’amnistia, tesa a ridurre l’incivile affollamento delle carceri. Ed ora fa concorrenza all’opposizione grillina nell’assalto parlamentare al ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri per la vicenda Ligresti.

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