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Fame di lusso in Borsa. Moncler fa festeggiare i fondi Eurazeo, Carlyle e Brands

La domanda ha già superato di 12 volte l’offerta per Moncler che debutta sul listino principale di Piazza Affari il prossimo 16 dicembre. L’indiscrezione, raccolta nel corso del roadshow che si è svolto stamattina a Milano, conferma quello che gli analisti dicevano da tempo: e cioè che, indipendentemente da come si valutino i multipli, e nel caso in oggetto sembrerebbero piuttosto cari, c’è fame di lusso. E lusso italiano in particolare, che d’altronde sul listino continua a volare: Yoox ha segnato oltre +161% da inizio anno; Cucinelli +92% e Ferragamo +76%.

Tutte società, compresa Moncler, che rappresentano la preda ideale per le multinazionali del settore, il che ne aumenta ulteriormente l’attrattività. “Non ci sono offerte sul tavolo  – ha detto il presidente Remo Ruffini a margine della presentazione  – e comunque non ho intenzione di vendere”. In realtà, la quotazione prevede un lock up della durata di un anno, ovvero, di fatto, blocca l’uscita del socio industriale. “Certo dire cosa succederà dopo non è facile”, continua Ruffini. Non è facile, anche perché la storia recente del gruppo padovano insegna che non sempre si possono perseguire gli obiettivi prefissati.

BUONA LA SECONDA

Già nel 2011 la società del piumino globale aveva tentato, con esiti diversi, l’avventura della Borsa. Si parlava tra l’altro di un interesse di Ppr, il gigante francese che oggi ha cambiato ragione sociale in Kering. Poi era arrivata l’offerta che non si può rifiutare: sempre da Oltralpe, ma da un fondo, Eurazeo, e l’Ipo era finita in una bolla di sapone.

COME SI RIDURRANNO I PESI DEGLI AZIONISTI FINANZIARI

Il secondo tentativo porterà proprio gli azionisti finanziari a cedere parte delle proprie quote: Eurazeo scenderà dal 45% al 31%, Carlyle, entrato nel 2008, dimezzerà la sua partecipazione oggi al 17,75%, Brands Partners passerà dal 4,9% all’1,26%. Il flottante sfiorerà quota 27%, e arriverà al 30,7% con l’esercizio della greenshoe. L’offerta è rivolta per l’80% agli istituzionali, per il 10% al retail e per l’ulteriore 10% al mercato giapponese.

UN’OPERAZIONE DI IMMAGINE

Per i fondi il lock up dura tre mesi. «Uscire è nella natura del nostro investimento – ha spiegato sempre a margine del roadshow Marco De Benedetti, numero uno di Carlyle in Italia – Inoltre la vendita andrebbe a incrementare il flottante. In ogni caso non abbiamo vincoli temporali, né fretta». La quotazione non varierà invece la partecipazione di Ruffini, che conserverà il suo 32% e non intascherà proventi dall’Ipo: l’obiettivo è un altro, e cioè aumentare la visibilità del marchio sui mercati internazionali. D’altronde Monlcer, da quando l’impreditore-designer veneto l’ha acquisita nel 2003, è stata plasmata come fosse una sua creatura. Sempre nel solco della tradizione iniziata a Grenoble – un caso quasi unico di francese che viene comprata da un’italiana – sessanta anni fa, ma aggiungendo tecnologia e specializzazione sempre maggiori. “Qualità e disegni che sopravvivano alla moda – afferma Ruffini – questi sono i due pilastri del lusso”.

LO STATO DEI CONTI

Pilastri solidi, visto che il fatturato è passato da 283 milioni nel 2010 a 489 nel 2012, con un aumento del 31,6%. La crescita a parità di perimetro è stata del 9% nel 2010, del 13% nel 2012 e del 18% nei primi nove mesi del 2013; con l’ebitda che è passato dal 32 al 33% tra il 2010 e il 2012. La strategia è stata in questi due anni di espandersi all’estero, con le vendite extra italiane passato dal 58% al 74% e di aumentare il numero dei monomarca, selezionando progressivamente multimarca e franchising. Tutto nell’ottica del controllo diretto.

I PROGRAMMI

Le nuove aperture proseguono al ritmo di 20 all’anno, in location sempre più prestigiose e ampie. Lo sviluppo futuro prevede un’espansione sia in nuovi mercati, segnatamente Russia, MedioOriente, Canada, Brasile sia in nuovi prodotti, come la maglieria. “Ma non aspettatevi il total look – spiega Ruffini – io tratto prodotti speciali fatti da specialisti. Credo che ogni prodotto richieda competenze specifiche, una cultura da trasferire in azienda, un’azienda nell’azienda”. Per questo nei mesi a venire non è escluso che l’azienda possa entrare nell’M&A ma con il ruolo, stavolta, di predatore.

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