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Giacarta alla guerra dei minerali

Il prossimo 12 gennaio sarà il giorno in cui l’industria mineraria indonesiana potrebbe subire una battuta d’arresto a causa di una legge che nelle intenzioni dovrebbe al contrario fare da volano allo sviluppo del settore.

A metà del mese prossimo, salvo intese dell’ultima ora, scatterà il divieto di esportazione di minerali grezzi. Il provvedimento che i legislatori covano da almeno quattro anni si basa in linea teorica sull’idea che, costruendo fonderie e processando localmente i minerali, l’Indonesia avrà un ruolo di maggior rilievo nel mercato internazionale, con relativo aumento dei profitti.

“In molti ritengono tuttavia che non si tratti di un cambiamento nella struttura proprietaria dell’industria mineraria”, ha spiegato un analista al sito Asia Sentinel, secondo cui alla radice della norma c’è il nazionalismo.

Studi prevedono tuttavia perdite per miliardi di dollari. Come scrive il Financial Times, la Freeport-McMoRan, colosso del rame e dell’oro, le cui attività in Indonesia non sono esenti da critiche per contratti stipulati durante l’epoca di Suharto e accuse di abusi, prevede che la produzione potrebbe calare del 60 per cento con perdite per il governo pari a 1,6 miliardi in royalty, tasse e dividendi.

Secondo Nomura, le perdite potrebbero attestarsi sui 400 milioni al mese. Le ripercussioni maggiori si avranno sul mercato del nickel e dello stagno, di cui gli indonesiani sono i principali esportatori al mondo. Il divieto dovrebbe inoltre influire anche sulla bauxite. Il settore minerario contribuisce per il 12 per cento al prodotto interno lordo della più grande economia del Sudest asiatico.

All’inizio di dicembre l’Associazione indonesiana degli imprenditori minerari sottolineava come l’industria locale rischiava di morire ancora prima di svilupparsi a pieno. Secondo gli industriali a trarne vantaggio saranno al contrario le grandi aziende internazionali, capaci di fare concorrenza alle società locali che non hanno la possibilità di lavorare i minerali e aver infrastrutture proprie.

Negli stessi giorni il parlamento rigettava la proposta del governo di esonerare dal divieto le società che dimostravano di avere seri piani per le raffinerie. Un rapporto dell’Agenzia Usa per lo Sviluppo internazionale smonta inoltre le previsioni di crescita del settore. Il divieto, spiega il quotidiano della city citando l’organismo statunitense, dovrebbe creare soltanto pochi di lavoro e mancato guadagni per 6,3 miliardi l’anno, facendo della costruzione di raffinerie una priorità che toglie capitali ad altri campi come l’educazione e la salute. Il Ft ricorda tuttavia come un accordo sia ancora possibile. La politica indonesiana ha già riservato in passato intese all’ultimo momento.

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