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I sogni di secessione della Scozia

Questo articolo è ripreso da BloGlobal Opi – Osservatorio di politica internazionale, un portale di analisi e approfondimento sulla realtà politica ed economica internazionale.

Si avvicina il 18 settembre, momento in cui si terrà nel Regno Unito il referendum sull’indipendenza della Scozia. I sondaggi stanno confermando che l’orientamento scozzese è quello di restare all’interno dell’unione, benché la percentuale sia calata nel corso dell’ultimo anno dal 65% al 59% con oltre un milione di indecisi.

Il premier britannico David Cameron, osteggiando l’indipendenza ma favorendo eventualmente una maggiore autonomia, ha candidamente ammesso che “se perdessimo la Scozia, getteremmo alle ortiche la nostra reputazione”. Nel dibattito è intervenuto anche il presidente della Commissione europea, José Barroso, che si è mostrato chiaramente contrario a qualsiasi ipotesi di una Scozia indipendente, chiudendo allo stato delle cose la porta per una sua ammissione nell’Unione Europea: “sarà estremamente difficile ottenere l’approvazione di tutti i Paesi”, e nella fattispecie di Londra, “per avere un nuovo Stato che nasce da un altro”, ricordando il caso della Spagna che ha rifiutato di riconoscere il Kosovo.

Dalla Scozia hanno risposto a tali dichiarazioni con aggettivi come “assurdo” e “ridicolo”, affermando che il paragone non sussiste. È in questo clima che la Cancelleria dello Scacchiere, di comune accordo con Cameron, ha deciso di proseguire sulla strada dell’ampliamento dell’autonomia scozzese, garantendo ad Edimburgo la possibilità di emettere buoni del tesoro per un valore complessivo di 2,2 miliardi di sterline. Dal Tesoro britannico hanno fatto dunque sapere che questa “è la dimostrazione di come la Scozia possa crescere restando all’interno del Regno Unito”.

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