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Vi spiego perché l’Occidente ha deluso Putin in Ucraina. Parla Utkin

Prosegue il braccio di ferro diplomatico tra Vladimir Putin e Washington, uno scontro caratterizzato da minacce, prove di forza e scambi di battute. Poche finora le certezze, salvo che la Crimea, che ieri ha dichiarato in Parlamento la propria indipendenza, a breve si esprimerà con un referendum e che rimane centrale nel dipanarsi della crisi ucraina, rappresenta solo la punta dell’iceberg di un conflitto più ampio che vede contrapposto l’Occidente alla Russia e che si somma a una “incomunicabilità” che ha scatenato sul territorio di Kiev tutti i suoi effetti negativi.
A crederlo è Evgeny Utkin, analista geopolitico e direttore di PartnerN1, che in una conversazione con Formiche.net spiega come il Cremlino vede la crisi nel Paese e perché, alla base dell’escalation di tensione nella regione, non ci siano tanto questioni geopolitiche ed energetiche, quanto la convinzione del presidente russo di essere stato tradito.

Utkin, cosa accade in Ucraina?
Succede che Putin sente di essere stato ingannato, dopo quello che è accaduto lo scorso 21 febbraio.
Ricostruendo i fatti, sia Barack Obama sia la cancelliera tedesca Angela Merkel chiesero al presidente russo di fare pressione su Viktor Yanukovich affinché sottoscrivesse un accordo con l’opposizione, del quale sarebbero stati garanti tre ministri europei agli Affari Esteri. Putin accolse l’invito e, come risultato, il giorno successivo l’opposizione del Majdan prese il potere, rompendo tutti gli accordi. L’Occidente dichiarò Yanukovich colpevole della strage di centinaia di
vittime provocata dagli scontri e dell’intervento dei cecchini e in fretta e furia riconobbero il nuovo governo.
Persino quando si è chiarito che i cecchini provenivano dall’ala destra della «rivoluzione» (ne dà testimonianza anche la conversazione “intercettata” tra il ministro degli esteri estone Urmas Paet e il capo della diplomazia UE Catherine Ashton), l’Europa ha cercato di nascondere anche questo fatto, legittimando il nuovo esecutivo. Putin non si fida più dell’Europa, e questo è un grosso problema (per l’Europa).

Perché è un problema per il Vecchio Continente?
Gli Usa sono lontani ed energeticamente autonomi. L’Europa, compresa l’Italia, deve pensare alle conseguenze di un acuirsi della crisi e in particolare dello scoppio di una guerra. Una eventualità che io comunque escludo, perché Putin non è uno sprovveduto e non ha nessuna intenzione di dare vita a un conflitto che non serve a nessuno, e la stessa cosa vale per gli Stati Uniti. Ma pare che all’Europa faccia comodo la propaganda anti-russa, anche se nell’ala destra risuonano slogan non solo contro i russi, ma anche contro gli ebrei. E pertanto Putin si ritrova a dover risolvere tutto da solo, non potendo più fidarsi dei partner europei.

Molti analisti, come lo storico Ennio Di Nolfo, credono che la reazione di Putin sia dettata da un timore che Kiev entri nell’orbita europea e quindi potenzialmente della Nato.
Sono due cose diverse, che comunque non penso preoccupino Putin in modo eccessivo. Ovviamente la Russia non gradisce, per molte ragioni geopolitiche e storiche, uno spostamento dell’Ucraina a “ovest”. Ma il presidente russo ha sempre detto che tocca agli ucraini determinare il proprio destino. Se Kiev non ha firmato l’accordo di associazione con l’Ue è solo perché non ha voluto farlo per una scarsa convenienza economica. Molte stime indicano che se l’Ucraina si associasse a Bruxelles la sua economia ne risentirebbe pesantemente, anche in virtù della chiusura delle frontiere commerciali da parte della Russia, che non lo farebbe per ritorsione, come dicono alcuni, ma semplicemente per difendere il suo mercato dall’invasione dei prodotti dell’Unione europea.

E che dire, allora, dell’Unione eurasiatica immaginata da Putin? Senza Kiev tramonterebbe.
Il presidente russo non ha mai nascosto di essere un nostalgico dell’Urss, non tanto dal punto di vista economico – sa che indietro non si torna – quanto per l’unità che teneva insieme Paesi e culture vicini. Da qui a dire che farebbe di tutto per non perdere l’influenza russa sull’Ucraina ce ne vuole. Il caso della Crimea è invece del tutto particolare, perché in ballo non ci sono solo interessi commerciali e militari, ma anche la difesa della popolazione russa della Penisola. Una zona autonoma, un po’ come l’Alto Adige in Italia, che già nel 1991, con un referendum, votato con una grande maggioranza del 93 % (e con un’affluenza di oltre l’80 %) ha deciso di essere una repubblica autonoma nella “nuova” URSS, e quindi nell’orbita russa. Quando nel 1954 Nikita Khruscev (ucraino), per coronare il suo potere di segretario generale del Partito comunista dell’URSS ha regalato la Crimea all’Ucraina – lanciando un messaggio di vicinanza alla propria terra natale -, nessuno avrebbe mai pensato che ciò potesse causare qualche problema in futuro, perché sia Mosca che Kiev facevano parte di quel colosso indistruttibile che era l’Unione sovietica. Poi, come sappiamo, le cose sono andate diversamente.
Non bisogna dimenticare che la Rada, il parlamento ucraino, il 23 febbraio, conscio della grande provocazione che andava a fare, come primo provvedimento ha vietato l’uso ufficiale della lingua russa (anche se il Presidente della Rada Alexander Turchinov non ha voluto firmare il divieto in attesa di una nuova legge, che – si dice – potrebbe addirittura bandire l’alfabeto cirillico, un’azione che sarebbe simbolicamente ancora peggiore). Questo ovviamente, al di là delle divergenze di opinione, ha esacerbato gli animi. Sarà molto interessante vedere cosa accadrà nei prossimi giorni, soprattutto a fronte di questa improvvisa dichiarazione d’indipendenza del Parlamento della Crimea e del prossimo referendum del 16 marzo.

Sempre alcuni osservatori sottolineano come però la Russia – che ha lo stesso bisogno di esportare materie prime quanto gli altri Stati hanno di riceverne -, rischi grosso se gli Usa dovessero decidere di esportare lo shale gas in Europa.
Quello del ricatto energetico degli Stati Uniti è, a mio avviso, un grande bluff, almeno in chiave geopolitica. La concorrenza americana in questo campo è un’evenienza abbastanza futuristica, perché prima che il gas sia fisicamente capace di arrivare qui ci vorranno probabilmente almeno 3-4 anni e i prezzi sarebbero simili a quelli di adesso. E poi va detto chiaramente che al momento l’Europa non corre il rischio di rimanere senza gas, almeno fino all’autunno. Le scorte sono ancora grosse. Certo, se la crisi dovesse continuare a lungo, l’Europa ne risentirebbe.

Perché in Occidente Yulia Tymoshenko, filorussa, è descritta come vicina all’Europa, mentre Yanukovych, che ha sempre guardato a Bruxelles, è stato apostrofato come uomo di Putin?
Non lo so, ed è davvero incomprensibile. Credo sia solo uno dei tanti elementi di disinformazione che fanno parte della battaglia mediatica che si sta consumando in queste ore. Yanukovich non è mai stato né filo russo, né filo europeo.

Si riferisce ai neonazisti che animano il Majdan e che potrebbero andare al governo? (Anna Mazzone ne ha parlato in modo completo su Panorama e l’ambasciatore Felix Stanevskiy lo ha anticipato su Formiche.net)
Esatto. Uno dei leader di estrema destra che si ispirano a Stephan Bandera, Dmitri Yarosh, sulla cui testa in Russia pende un mandato di cattura internazionale per “appelli terroristici condotti attraverso i media”, vuole candidarsi a diventare il prossimo presidente ucraino. E nessuno dice niente. Probabilmente l’unica preoccupazione degli Usa, al momento, è frenare la Russia. Ma se non si sta attenti si rischia di replicare gli errori fatti altrove, come in Libia ad esempio, dove la soluzione è stata peggiore del danno.

Quale soluzione, dunque?
Io ritengo che a questo punto sia naturale puntare a una secessione della Crimea. Né sotto il controllo ucraino, né annessa alla Russia. Un Paese indipendente che decida autonomamente il proprio futuro. In caso contrario, temo che questa crisi sia solo all’inizio. E avrà effetti imprevedibili.

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