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Il peso delle lobby mediorientali in USA: il Libano

Il ruolo del Libano nelle attuali questioni di politica estera statunitense è marginale, ma gli Stati Uniti non distolgono mai l’occhio da Hezbollah. Ed è tutta lì la delicata ambiguità delle mosse dell’Amministrazione americana nei confronti di Beirut – d’altronde (per certi versi come per Hamas in Palestina) è proprio la presenza del partito milizia filo-iraniano il maggior elemento di sensibilità per il Libano.

Da un lato il Congresso che condanna l’appoggio di Hez all’esercito di Assad in Siria, dall’altro il Dipartimento di Stato che fornisce i presupposti per l’appoggio umanitario ai campo profughi per i siriani – e d’altronde, ancora, il Libano è quel paese che combatte con il regime contro i ribelli, ma poi ospita molti degli sfollati (molti filo-ribelli) che vengono dalla Siria.

Ambiguità. È il Libano, e nessuno se lo dimentica a Washington. Nell’ultimo report sul paese, redatto dal Congressional Research Service, si legge: «La questione del modo migliore per emarginare Hezbollah e altri attori libanesi anti-statunitensi, senza provocare un conflitto civile tra le [già divise] forze politiche confessionali libanesi, resta la sfida di fondo per i responsabili politici degli Stati Uniti». Lo stallo politico e i vuoti legislativi e di leadership del Libano attuale, fanno scenario a tutto questo.

Gli Stati Uniti temono una nuova implosione del Paese, anche per questo il segretario di Stato John Kerry ha improvvisato una visita lampo il mese di giugno, rinfrescando il sostegno statunitense ai “progressi democratici”, ricordando il ruolo del Libano come asticella d’equilibrio dell’intera regione e ringraziando il paese per lo sforzo umanitario – oltre un milioni di rifugiati dal conflitto siriano, più di ogni altra nazione.

Oltre le parole, anche i fatti: in luglio sono partiti 93 milioni di dollari di aiuti – rientranti in un piano per il sostegno della guerra civile in Siria – sempre il mese scorso è stato confermato l’invio di 75 milioni per le forze armate. L’esercito libanese, che ultimamente è stato più volte attaccato dai ribelli siriani nelle zone di confine, riportando anche diverse perdite, è una delle strutture del paese dove il deficit di leadership si fa più sentire; con il rischio che il braccio armato di Hezbollah si sostituisca completamente alle forze armate. Tenere distinte le due dimensioni, è una delle necessità alla base degli aiuti americani – aiuti che rimangono comunque molto limitati rispetto al 2009, prima del maggiore coinvolgimento di Hez nel governo, quando ammontavano a circa 150 milioni di dollari.

Hezbollah è il problema, s’è detto.

La Banque du Liban (la Banca centrale libanese) ha dovuto assumere la super società di lobbying Patton Boggs al costo di 420 mila dollari l’anno, per “ripulire” la propria immagine davanti al Congresso e al governo. La Banca, come il resto del paese, vive l’incoerenza della collaborazione con Hezbollah – che gli Stati Uniti considerano un’organizzazione terroristica, (cosa che non va dimenticata). Sulla testa della Cassa centrale pesano le accuse di essere uno dei centri di riciclaggio del denaro di Hez – sulla questione i membri del Comitato Affari Esteri della Camera Mark Meadows (repubblicano) e Brad Schneider (democratico), avevano già in aprile introdotto una legislazione bipartisan che imponesse sanzioni verso quegli istituti finanziari che aiutavano Hezbollah.

Non solo la Banca centrale, ma anche le banche private libanesi si sono trovate costrette ad assumere esperti di pubbliche relazioni per salvare la propria reputazione, e conseguentemente i propri profitti (che rappresentano il 7% del PIL libanese). La ABL (Associazioni delle banche del Libano) ha ingaggiato la società DLA Piper (prezzo annuo, sempre intorno ai 400 mila dollari) e la Levick Strategic Comunications (costo 600 mila), per lavorare a contatto con gli uomini di Capitol Hill. Le operazioni di lobbying sono guidate dall’uomo di punta di DLA, Mike Castle, un tempo membro del Comitato servizi finanziari della Camera.

Tra le banche finite nell’occhio del ciclone, c’è la MEAB – la banca libanese un tempo conosciuta come Middle East and Africa Bank. L’accusa è sempre quella: le collusioni con il terrorismo di Hezbollah – già nel 2006 era finita in una lista nera di Israele, che voleva, ai tempi della guerra con il Libano, bombardarne gli istituti. La storia, riguarda un conto di donazione apparso in Tv, in arabo, che era riconducibile a un alto funzionario di Hez – lo scoop rivelatore fu fatto da un giornalista di NBC che aveva provato a contattare il numero. Ovviamente la banca ha negato tutto, dicendo che anche se ci fossero stati collegamenti, erano stati costruiti all’insaputa dei vertici della società. Per assicurarsi una nuova immagine, la MEAB ha assunto una società di peso come la Patton Boggs per portare avanti le attività di lobby. La società di Washington ha messo a lavorare sul dossier due esperti: Stephen McHale e Gassan Baloul. McHale è un ex procuratore generale del Dipartimento del Tesoro ed è uno tra i numeri uno per navigare le società tra i mari burrascosi delle sanzioni americane. Baloul traduce McHale sulle questioni del Medio Oriente. Per MEAB lavora anche BGR Group, che focalizza le sue attività all’interno del Dip di Stato – mentre Patton Boggs opera più sul Congresso.

Tuttavia gli sforzi hanno avuto risultati contrastanti.

A luglio è stato approvato (all’unanimità) il disegno di legge del repubblicano Meadows, con cui il Dipartimento del Tesoro è obbligato a notificare immediatamente al Congresso, gli istituti che facilitano consapevolmente le operazioni a Hezbollah – il Congresso, poi, provvederà alle sanzioni. Le pressioni delle lobby dell’ABL hanno permesso una restrizione sulla legge, escludendo “errori o disattenzioni” di società collegate.

Dietro alla legge, c’è la mano lunga dell’AIPAC (la lobby pro-Israele molto potente e piazzata a Washigton), che la classifica come parte delle sforzo americano di indebolimento dell’Iran (anche se indiretto), nonostante il dialogo aperto sul nucleare.

@danemblog

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