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Perché anche la Germania inizia a temere le mattane di Putin

Gli effetti negativi delle sanzioni in Europa, in particolare in Germania, per fortuna stanno però generando un dibattito profondo sul ruolo e sullo sviluppo dell’Ue. Come è noto l’Ue ha deciso di estendere le sanzioni anche contro le imprese russe, così come già fatto dagli Usa. Washington ha sulla sua «black list» imprese quali il gigante petrolifero Rosneft, quello del gas Novatek, la Gasprombank e la fabbrica di armamenti Kalashnikov.

Queste aziende non possono più chiedere prestiti alle banche americane, né vendere titoli di medio e lungo termine a investitori che hanno legami con gli Usa. In breve si vuole strangolare finanziariamente le imprese e le banche russe che potranno avere sempre meno accesso ai mercati finanziari internazionali. Il rischio però è un boomerang. Gli effetti si sentiranno in tutta Europa, Germania compresa. In Italia si è già toccato l’export di prodotti agricoli e di vino. La Confindustria tedesca parla di una perdita di 25 mila posti di lavoro. La Deutsche Bank calcola una diminuzione dello 0.5% del pil tedesco causata dalle sanzioni incrociate.

L’autorevole Camera di commercio russo-tedesca prevede che le sanzioni colpiranno almeno un quarto delle imprese che fanno business con l’estero. Del resto una ditta di guarnizioni per pipeline della Baviera che lavora con Novatek ha già subito una riduzione del 30% per la cancellazione o la posticipazione di ordini. La stessa Siemens sembra che dovrà bloccare immediatamente un contratto di 90 milioni di euro per turbine e generatori ordinati da Rosneft. Le case automobilistiche tedesche si aspettano nette riduzioni delle vendite in Russia nel 2014: la Volkswagen con 10% in meno, mentre l’Opel ha già perso il 12% nei primi 5 mesi dell’anno. Di fatto Mosca è indotta a cercare fornitori alternativi. Quindi oggettivamente si è creata una situazione difficile per gli investimenti in Europa, anche per la vita stessa di alcune aziende europee che rischiano di essere penalizzate.

Contemporaneamente Berlino sta considerando una nuova politica economica europea. Il centro studi Diw (Istituto tedesco di ricerche economiche) ha rimesso al centro delle sue proposte gli investimenti di lungo periodo in nuove tecnologie e in infrastrutture considerate essenziali per la ripresa economica. Dall’inizio della crisi finanziaria globale la creazione del capitale fisso nella zona euro è diminuita del 15%. C’è un enorme gap tra gli investimenti programmati e quelli effettivamente realizzati.

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