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La sferzata di Civiltà Cattolica sul gioco d’azzardo

Che cosa è accaduto all’Italia per essere diventata in così poco tempo il primo Paese consumatore di gioco d’azzardo in Europa e il terzo nel mondo? L’interrogativo è al centro dello studio che padre Francesco Occhetta propone sull’ultimo numero del quindicinale dei gesuiti “La Civiltà Cattolica”, circa “La piaga sociale del gioco d’azzardo”.

Ricordando la data della sua liberalizzazione, il 2003, voluta dalle principali forze politiche di maggioranza e di opposizione, che ha permesso un consumo di massa del gioco d’azzardo, Occhetta ritiene paradossale il fatto che si sia passati dal proibizionismo sul gioco, che distingueva l’Italia dagli altri Paesi occidentali, a una situazione di concessioni senza limiti.

I NUMERI DEL GIOCO D’AZZARDO
L’analisi di Occhetta evidenzia che in pochi anni il gioco d’azzardo ha generato un’industria con il terzo fatturato più alto del Paese. Una filiera di 5.800 imprese del settore dei giochi autorizzati dallo Stato, in cui lavorano circa 120.000 persone e che frutta un fatturato annuo legale, che si aggira intorno agli 87 miliardi di euro.
La spesa media che grava sugli italiani maggiorenni per il gioco d’azzardo raggiunge punte di 1.480 euro in Abruzzo e di 2.960 euro a Pavia. Nelle casse dello Stato entrano invece ogni anno dal prelievo sul gioco d’azzardo legalizzato otto miliardi di euro.

LE CATEGORIE PIU’ VULNERABILI
Dietro questi numeri positivi si nasconde però per padre Occhetta il dato più umiliante per una società democratica: “Giocano, secondo l’Eurispes, il 47% delle persone che appartengono alla classe indigente e il 56% di quelle del ceto medio-basso. Nel 2009 gli italiani che giocavano erano circa 35 milioni; attualmente gioca (occasionalmente) il 70% della popolazione; di questi, 800 mila sono giocatori patologici, altri due milioni sono quelli considerati ad alto rischio di dipendenza; gli anziani e i giovani sono le categorie più vulnerabili”, si legge nello studio pubblicato su La Civiltà Cattolica.

GIOCO D’AZZARDO E CRISI SOCIALE
Ripercorrendo l’evoluzione del gioco d’azzardo Occhetta nota come la scarsa propensione al gioco, che è durata fino agli anni Novanta, abbia favorito per decenni un’alta vocazione al risparmio delle famiglie italiane. Ma oggi non è più così, si legge sulla rivista dei gesuiti: “Si stima che gli italiani spendano 664 euro all’anno per investire nel loro futuro attraverso pensioni integrative e 1.260 per giocare e consumare il presente nell’azzardo”.

“Gioco d’azzardo e crisi sociale sono due facce della stessa medaglia – sottolinea padre Occhetta – , rappresentano il sintomo e la conseguenza di una cultura malata che si affida alla sorte, alla voglia di arricchirsi senza fare sacrifici, o semplicemente l’illusione di trovare una scorciatoia”.

LE CONSEGUENZE
Ma di gioco d’azzardo si può guarire, sostiene Occhetta chiamando in causa la politica: “Le conseguenze del gioco d’azzardo non sono solamente una responsabilità personale: a livello sociale sono come una piaga, che la politica è chiamata a fasciare e a guarire.

Come? “Anzitutto attraverso la rieducazione al gioco nelle scuole e negli oratori, la regolamenta¬zione della pubblicità dell’azzardo, il potenziamento dei controlli, la trasparenza dei politici con le potenti lobby”, risponde padre Occhetta.

Le conseguenze del gioco d’azzardo sono anche contrarie ad alcuni princìpi fondamentali della Costituzione: “Quello della tutela della dignità della persona (art. 2 Cost.), della minaccia all’unità della famiglia (art. 29 Cost.), della tutela della salute (art. 32 Cost.), della tutela del risparmio (art. 47 Cost.)”, si legge sullo studio pubblicato su La Civiltà Cattolica.

LA POSIZIONE DELLA CHIESA
“A proposito dei giochi d’azzardo, ricorda ancora padre Occhetta nella sua analisi – la Chiesa si è espressa così, nel Catechismo della Chiesa Cattolica: «I giochi d’azzardo (gioco delle carte, ecc.) o le scommesse non sono in se stessi contrari alla giustizia. Diventano moralmente inaccettabili allorché privano la persona di ciò che le è necessario per far fronte ai bisogni propri e altrui. La passione del gioco rischia di diventare una grave schiavitù. Truccare le scommesse o barare nei giochi costituisce una mancanza grave, a meno che il danno causato sia tanto lieve da non poter essere ragionevolmente considerato significativo da parte di chi lo subisce» (n. 2413).

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