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Tutti i trattati sull’euro mai entrati in vigore

Dopo “Lo sapete che l’euro è nato in maniera illegittima?“, pubblichiamo la seconda parte del libro di Giuseppe Guarino intitolato “Un saggio di verità sull’Europa e l’euro”.

I Trattati, nella parte attinente alla disciplina della moneta, non sono mai entrati in vigore. I valori di riferimento del 3% e del 60% del PIL non hanno mai avuto occasione di applicarsi. La norma da rispettare sarebbe stata comunque l’art. 104 c) TUE. Ma anche questo articolo, alla pari del 104 di Amsterdam e del 126 di Lisbona, non è stato applicato. In sostituzione del Trattato è stato imposto il PSC introdotto dal regolamento 1466/97, al quale hanno fatto seguito i due regolamenti 1055/2005 e 1175/2011 e poi il c.d. Fiscal Compact.

Il PSC ha imposto agli Stati membri, con efficacia retroattiva, un obbligo di carattere generale, la parità del bilancio a medio termine. I divari al 1.1.1999 rispetto alla parità del bilancio erano stati accertati, per l’ammissione all’euro, con lo scrutinio effettuato il 3 maggio 1998. La generalità degli Stati presentava un bilancio non in attivo, divergente dal pareggio in varie misure. Lo sviluppo è frutto del concorso di due elementi: la presenza di fattori produttivi inutilizzati o sottoutilizzati e la disponibilità di risorse sufficienti per valorizzarli. Gli Stati che alla data del 1.1.1999 non avevano il bilancio in pareggio potevano contare tutti sulla presenza di fattori inutilizzati. Quali e quanti fossero si sarebbe potuto dedurre dal numero già in essere e di quelli probabili nel futuro, dei disoccupati, delle imprese costrette a chiudere i battenti, delle strutture private o pubbliche rimaste incomplete, quindi parzialmente inutilizzate, e così via. Il PSC avrebbe comportato il divieto di indebitamento fino a quando il bilancio non fosse stato in pareggio o fino a quando non fossero sopravvenuti fattori produttivi imprevisti. Quindi non vi sarebbe stato alcun incontro tra fattori e risorse. Il PSC non avrebbe prodotto sviluppo.

Lo avrebbero comprovato le statistiche relative all’andamento del PIL nei tre principali Paesi dell’eurozona relative al periodo 1999-2009. Nella graduatoria in tale decennio dei Paesi del mondo con il più basso tasso di crescita (Pocket World in Figures, edito dall’Economist, edizione 2012, pag. 30) l’Italia figura al 4° posto (media dello 0.4%), la Germania all’8° posto (media dello 0.8%), la Francia al 17° posto (media dell’1.4%). Nello stesso decennio, stessa fonte, pag. 46, nella graduatoria dei Paesi con la più bassa crescita nel prodotto dell’industria, l’Italia figura al 4° posto con la media del -1.7%, la Germania all’8° con la media del -1.2%, la Francia al 13° con la media dello 0.5%.

Il tasso medio di crescita del PIL era stato per Francia, Germania, Italia nei quattro decenni dal 1950 al 1990 (elaborazione su dati omogeneizzati Maddison), rispettivamente del 3.86%, del 4.05% e del 4.36%; nei sei anni anteriori al 1991 (escluso l’anno della riunificazione delle Germanie), nello stesso ordine, i tassi di ciascuno erano stati del 2.61%, del 2.09% e del 2.72%; nei sei anni della fase della omogeneizzazione delle economie (prot. n. 6 del TUE), dell’1.78%, dell’1.54% e dell’1.27%. Nel 1998 la crescita dei tre Paesi era stata rispettivamente del 3.6%, del 2.0% e dell’1.4%. La caduta si è manifestata solo a partire dall’inizio del 1999, data di applicazione del principio della parità del bilancio.

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